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| . . . . . . . . . . . . . | 150 militari obiettori La morale di pattuglia in Israele di Aldo Baquis 
            TEL AVIV «Noi uccidiamo persone
            innocenti. Ogni settimana uccidiamo bambini,
           
            donne, vecchi. Tutto per
            "errore", "senza intenzione".
           
            Una giovane è stata uccisa perché
            "si è trovata coinvolta in uno scontro a
           
            fuoco". Un bambino è stato ucciso
            "perché non sapeva che non doveva passare
           
            in un dato posto".
           
            Un vecchio ha preso fuoco perché
            "si trovava a due passi dalla automobile di
           
            un ricercato, colpito da un razzo.
            Proprio questa settimana abbiamo riletto
           
            il brano della Bibbia: "Non
            uccidere"».
           
            Chi parla così non è un estremista, un
            ultrà pacifista. E' il sergente
           
            Shammai Leibovitz dell'esercito
            israeliano, uno dei militari della riserva
           
            che da due settimane protesta contro la
            condotta militare del paese.
           
            Centocinquanta riservisti come Leibovitz
            hanno pubblicamente annunciato di
           
            non «essere più disposti a fare da
            aguzzini» del popolo palestinese.
           
            Quarantatré sono ufficiali veterani,
            con incarichi di comando ed esperienza
           
            di guerra tra i carristi, nel genio e in
            aviazione. Il capo di stato
           
            maggiore generale Shaul Mofaz li accusa
            di farsi strumentalizzare dall'
           
            opposizione, ma gli obiettori negano: «Siamo
            scesi in campo per un'esigenza
           
            di carattere morale».
           
            Hanno quindi preso l'impegno di non
            parlare direttamente con la stampa
           
            estera. Rimandano al loro sito su
            Internet, http://www.seruv.org/ 
            dove
           
            seruv vuol dire rifiuto. A lanciare la
            protesta il tenente Yshai Saguy,
           
            ufficiale di artiglieria di 25 anni. Nel
            luglio scorso è rinchiuso nel
           
            carcere militare numero 6, alle pendici
            del biblico Monte Carmelo, per
           
            essersi rifiutato di unirsi al suo
            battaglione, in servizio a Gaza.
           
            Saguy si dice «esasperato» dalle
            piccole, quotidiane, sopraffazioni a cui
           
            sono sottoposti i palestinesi nei
            Territori: «Quando la nostra pattuglia si
           
            annoia - spiega - decide magari di
            fermare la prima automobile di passaggio.
           
            Si fanno scendere i passeggeri, si
            impone loro di smontare la vettura, di
           
            rimuovere i pneumatici, di mettere tutto
            in bell'ordine e infine di
           
            rimontare i pezzi e ripartire. Esiste
            una mancanza di sensibilità verso le
           
            sofferenze del prossimo, specialmente se
            si tratta di un arabo». Contestati
           
            da destra e sinistra come «disfattisti»,
            gli obiettori non cedono: «La
           
            morale è con noi, abbiamo cominciato in
            cinquanta, diventeremo un
           
            movimento».
           da "La Stampa", 4 febbraio 2002 _________________________________________________________________ |