Ioan Lapidus

 

Patriarcato di Mosca

 

 

 

SAN GIOVANNI CRISOSTOMO E LA MISERICORDIA

 

 

 

L’eredità dei santi padri dall’inizio dell’accoglimento del cristianesimo nella Rus’ diventò per i nostri antenati l’oggetto principale della lettura e della scrittura. Ma tra le opere dei santi padri nessuna è stata così amata e così conosciuta nella letteratura russa antica come le opere di san Giovanni Crisostomo. Il popolo russo riconobbe nel suo spirito qualcosa di affine al proprio spirito. Nelle sue opere affascinava il fatto che in esse la ricchezza del pensiero si unisse ad un’eloquenza fuori del comune, che consisteva prevalentemente nella chiarezza, nella naturalezza e nella semplicità. Non meno affascinava i lettori anche il contenuto spirituale dei suoi insegnamenti. San Giovanni Crisostomo era un predicatore della carità verso il prossimo e proprio per questo egli si guadagnò un amore particolare nell’antica Rus’. L’inizio delle traduzioni in slavo delle opere del santo risale al più antico periodo della letteratura slava. Già l’imperatore bulgaro Simeon compose, dalle parole e dalle conversazioni di Crisostomo, una vasta raccolta dal titolo “Zlatostruj” (cioè “Il ruscello d’oro”). E’ giunta fino a noi una delle più antiche raccolte delle parole di Crisostomo, in un manoscritto di Supral’ dell’XI secolo. Una delle conversazioni del santo si trova nella raccolta di Svjatoslav del 1073. Diciassette parole di Crisostomo si trovano nei Četì-Minej del XII secolo. Insieme allo “Zlatostruj” giunsero a noi dalla Bulgaria altre raccolte delle opere del santo: “Margarit” (“La perla”), “Il Vangelo del maestro”, e altre. Nel periodo seguente l’autorità del santo e l’amore nei suoi confronti da parte del popolo fecero sorgere una tendenza di scrivere opere

 

 

Terni – 30 settembre – 1 ottobre 2002                    Терни 30 сентября – 1 октября 2002

propriamente di autori russi sotto il nome del santo. I più celebri esempi di “creazione popolare” sono i cosiddetti “Zlatousty” (cioè “Crisostomi”), giunti fino a noi negli appunti del XIV-XVII secolo. In questo stesso gruppo bisogna annoverare anche “Izmaragd” (“Lo smeraldo”), una raccolta pure diffusa, che includeva le opere del santo, e che acquisì una particolare notorietà nel popolo.

Questi e molti altri fatti parlano del posto particolare di san Giovanni Crisostomo nella schiera dei santi della Chiesa antica, venerati dal popolo russo. Il tema della presente relazione è “San Giovanni Crisostomo e la carità” e, probabilmente, proprio questa qualità, che il santo menzionava continuamente nelle sue opere, e che, innegabilmente, costituì uno dei caratteri dominanti della personalità di Crisostomo, guadagnò il particolare amore per lui dei suoi contemporanei e dei loro lontani discendenti.

Essendo un autentico portavoce dello spirito di Cristo, essendo un pastore delle anime umane, san Giovanni si preoccupava soprattutto degli affaticati e degli oppressi che con amore illimitato lo stesso Cristo chiamava a sé. Il suo cuore pieno di carità era aperto soprattutto per i fratelli più piccoli, ed egli, come un padre, cercava di capire in tutto le loro necessità, non soltanto spirituali, ma anche materiali. Quando la situazione dei poveri diventava particolarmente difficile, Crisostomo osava intervenire come loro intercessore, e se la causa del peggioramento della loro situazione erano la cupidigia o le vessazioni da parte  dei ricchi, egli non lesinava le parole per smascherare la loro crudeltà. Una serie di predicazioni di Giovanni era quasi esclusivamente dedicata alla situazione dei cittadini poveri, cosa che gli provocava perfino rimproveri per il fatto che egli parlava soltanto dei poveri, quasi gli altri non meritassero la sua attenzione e il suo ammaestramento. Crisostomo rispondeva che gli era cara la salvezza di tutti, ma che egli si occupava soprattutto dei poveri perché della cura del pastore hanno bisogno non soltanto le loro anime, ma anche i corpi, perché anche il Salvatore nel Giudizio Finale chiederà se abbiamo dato mangiare all’affamato, se abbiamo vestito chi era nudo. “Per questo io non smetterò di ripetere: date ai poveri, e sarò l’instancabile accusatore di quelli che non danno” – dice il santo nella conversazione sulla prima epistola ai Corinzi. E veramente egli non smetteva mai di ripetere questo appello ed era un vero padre dei poveri e dei miseri, era l’amante del povero, l’amore del quale lo rese particolarmente caro al popolo russo ortodosso, che riteneva l’amore per il povero e l’elemosina le principali virtù proprie di ogni autentico cristiano.

Quando già era sulla cattedra di Costantinopoli il santo continuava ad occuparsi dei membri indigenti del proprio gregge. Un acuto contrasto tra i palazzi della capitale, tra il lusso della corte e la povertà della città, servì da pretesto perché Giovanni indirizzasse tutta la sua attività pastorale alla lotta contro l’ineguaglianza sociale. Furono da lui spesi notevoli mezzi per le istituzioni di beneficenza. Prima di Crisostomo a Costantinopoli c’erano in tutto quattro ricoveri, che si sostentavano miseramente, e le ammissioni ad essi avvenivano senza regolarità. Con l’arrivo del nuovo arcivescovo, essi furono rimessi in ordine, e, oltre a questi, cominciò a sorgere ogni genere di case per gli anziani, di rifugi per i bambini di strada, di ospedali per gli indigenti, di scuole per gli orfani, ecc. Nelle sue conversazioni san Giovanni si rivolge continuamente a chi l’ascolta, con l’invito a dare offerte in beneficenza. Egli esalta l’elemosina come la più grande virtù, che più rapidamente di tutte apre all’uomo la via della Salvezza: “L’oggetto della compravendita è il cielo, e noi non ce ne preoccupiamo! Da’ il pane e prendi il paradiso; da’ il piccolo e prendi il grande; da’ il mortale e prendi l’immortale; da’ il corruttibile e prendi l’incorruttibile (…). Da’ al povero e possa tu stesso tacere, mille bocche parleranno in tua difesa, perché l’elemosina si solleverà e ti difenderà: l’elemosina è il riscatto dell’anima. Cristo, il Signore di tutti, ha detto: Quello che avrete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avrete fatto a me” (Mt 25, 40). Dunque, fratelli, - dice il primo santo di Costantinopoli, - una grande opera è l’elemosina. Amiamola, non c’è niente che le sia pari, essa può anche riparare i peccati, e liberare dalla condanna. Tu stai in silenzio, ma essa sta ritta e difende; o meglio, quando tu così taci, mille bocche ringraziano per te. Quanti mai sono i beni che derivano dall’elemosina, ma noi non gioiamo e non ce ne preoccupiamo? Da’, per quanto possibile, il pane. Non hai pane? Da’ un obolo. Non hai un obolo? Da’ un bicchiere d’acqua fresca. Non hai neppure questo? Piangi con l’infelice e avrai la tua ricompensa. La ricompensa non è per un atto forzato, ma per un atto di libertà”.

Questi inviti non restavano infruttuosi, il grado di protezione sociale degli strati poveri della popolazione di Costantinopoli raggiunse in poco tempo un livello molto alto. C’erano non poche persone ricche, soprattutto vedove, che, dando in offerta le proprie sostanze per le opere di beneficenza, andavano loro stesse negli istituti di carità e servivano i fratelli malati e poveri. Il sogno di Crisostomo era il raggiungimento della condizione, in cui tutto il suo gregge potesse vivere in quel rapporto ci fraternità reciproca in cui vivevano i primi cristiani a Gerusalemme.

La tematica sociale ha per Giovanni un senso prima di tutto morale. Egli vede intorno a sé troppa menzogna, crudeltà, sofferenza e dolore. E comprende bene quanto questo sia legato allo spirito di accumulazione, all’ineguaglianza sociale. Egli si affligge non soltanto per il lusso vano, ma anche per la ricchezza intesa come seduzione. La ricchezza seduce, prima di tutto, chi la possiede. La ricchezza non è un valore di per sé, è soltanto una maschera teatrale, che nasconde la vera immagine dell’uomo. E, nel contempo, chi possiede si abitua involontariamente a stimarla, cade in un pericoloso autoinganno, si affeziona a dei beni apparenti. Non è pericolosa soltanto la ricchezza acquistata ingiustamente e disonestamente, ma ogni possesso. Tuttavia, non di per sé, ma come stimolo per la volontà, come motivo per avere caro ciò che è corruttibile ed apparente. “L’amore per la ricchezza è una passione innaturale, il desiderio della ricchezza non è naturale, non è indispensabile, ma superfluo”, “Non per questo la ricchezza è per voi nociva, perché arma contro di voi i briganti e offusca totalmente il vostro intelletto, ma più che altro perché vi rende prigionieri dei beni senza anima, vi separa dal servizio a Dio”. Il pathos mondano dell’accumulazione, dell’ammassare, si oppone al comandamento evangelico “distribuisci ai poveri…”. “Non è abbastanza disprezzare la ricchezza – dice Crisostomo, – ma bisogna anche sfamare i poveri, e fare la cosa più importante: seguire Cristo”. In tale prospettiva si svela con particolare chiarezza la menzogna del mondo, la menzogna dell’ineguaglianza sociale: di fronte alla povertà e al dolore qualunque ricchezza è ingiusta e morta, come una testimonianza della durezza del cuore, della mancanza di carità.

Crisostomo si rapportava alla povertà in maniera duplice. Da una parte, Cristo viene a noi nell’immagine del povero, non sotto l’aspetto del ricco, e la povertà scelta volontariamente per Dio è una via per la virtù. Il nullatenente è più libero, ha meno attaccamenti, preoccupazioni. Gli è più facile vivere, gli è più facile agire. Dall’altra parte, la povertà può risultare un pesante fardello, non soltanto esteriore, ma anche interiore, come fonte di odio, cattiveria, disperazione. Proprio per questo egli si sforzava di combattere contro la povertà. Crisostomo vede la fonte dell’ineguaglianza nella volontà e nella libertà umane, nella libertà verso la proprietà. Dalla libera volontà dell’uomo dipende come egli si dispone verso i beni che gli sono stati dati; è in questa disposizione, secondo Crisostomo, la sostanza del problema. Egli, certamente, non esige la povertà o la miseria generali. Egli smaschera l’ingiustizia, l’ineguaglianza. I beni materiali sono dati da Dio, non si possono disdegnare. Ma non si possono neppure alienare a vantaggio degli uni, a scapito degli altri. Il santo vedeva la soluzione della questione nell’accumulazione della carità, poiché “la carità non cerca il suo interesse” (1 Cor 13, 5). Riferendosi spesso all’esempio della prima comunità cristiana, Crisostomo portava sovente ad esempio la vita dei cristiani degli Atti. Egli riteneva che in caso di rinuncia volontaria ai beni e in caso di loro giusta ripartizione tutti sarebbero stati nell’agiatezza. Proprio secondo questo principio nei tempi apostolici e post-apostolici fu organizzato il patrimonio della Chiesa. Esso era comune, lo ripartiva il vescovo. In parte esso era speso per i bisogni del tempio, a suo carico viveva il clero, ma prima di tutto esso era patrimonio dei poveri. Tuttavia, bisogna subito evidenziare, che qui è inopportuna qualunque allusione al cosiddetto “comunismo cristiano”. Il fatto è che Crisostomo sottolinea come una tale socializzazione dei beni sia possibile e utile soltanto nel caso in cui essa sia volontaria, cioè sia espressione di rinuncia alle comodità personali e di carità autentica e, di conseguenza, presupponga un livello superiore di perfezione morale. Perciò l’arcivescovo di Costantinopoli non esige dai suoi ricchi parrocchiani che distribuiscano tutto il loro patrimonio, ma si limita alla richiesta di un’elemosina generosa. L’elemosina è il momento più indispensabile ed essenziale della vita cristiana: “Chi non fa l’elemosina resterà fuori della stanza nuziale, - dice Crisostomo, - e immancabilmente morrà. Non per il sollevarsi delle mani si può essere ascoltati da Dio: tendi le tue mani non verso il cielo, ma verso le mani dei poveri”. Il fedele compagno di viaggio della carità cristiana e il suo portavoce è la misericordia, che san Giovanni Crisostomo chiama il cuore della virtù. La virtù della misericordia ha come sua fonte Dio (Lc 6, 36) e si presenta come “segno della Divinità”. Essa rende l’uomo simile a Dio e serve come segno distintivo dell’uomo “a sua immagine e somiglianza” (Gen 1, 26). “Chi non possiede la misericordia, - dice il santo padre, - ha cessato di essere un uomo”.

Parlando della virtù della misericordia, san Giovanni il più delle volte adopera la parola “milostynja” (“elemosina”), che nella bocca del santo suona come sinonimo della più alta virtù concreta. San Giovanni Crisostomo dà una definizione molto viva dell’elemosina: l’elemosina è un’arte, che Dio insegna nella sua scuola celeste. Nei giudizi di san Giovanni Crisostomo sull’elemosina e sulla misericordia, balza agli occhi molto chiaramente quel pathos morale che imprime alla virtù della misericordia un senso soteriologico: l’elemosina rende l’uomo vincitore sulla morte e sconfigge il diavolo, difende davanti a Dio nel Giudizio Finale, ottiene il perdono dei peccati, libera dal fuoco della Geenna, penetra i cieli, procura la lode degli angeli e la gloria presso Dio, ci rappresenta i beni eterni. Il santo parla della via della salvezza: “Quale è mai questa via? E’ l’elemosina, la regina delle virtù, che con grande velocità innalza gli uomini sulle volte celesti, la migliore avvocata. Una grande opera è l’elemosina; perciò anche Salomone esclamava: “Una grande cosa è l’uomo, e una cosa preziosa è l’uomo che fa il bene”. Grande è lo slancio che ha l’elemosina: essa fende l’aria, sorpassa la luna, sale più in alto dei raggi del sole, raggiunge i cieli stessi. Ma neppure là essa si ferma; al contrario, sorpassa anche il cielo, aggira le schiere degli angeli, e i volti degli arcangeli, e tutte le forze superne, e si presenta al trono stesso del Re”.

La virtù della misericordia supera molte altre virtù. Così, san Giovanni dice che l’offerta ai poveri è più importante delle preghiere, dei digiuni e di molte altre opere. L’elemosina, per esempio, è più necessaria della verginità. “Senza la verginità si può vedere il Regno, ma senza l’elemosina non c’è alcuna possibilità”. “Se la verginità senza elemosina non ha potuto condurre al Regno, quale altra opera buona è, o sarà in grado di fare questo senza di lei? (…) Nessuna”, - conclude il santo padre.

L’elemosina è più del dono di resuscitare i morti. “Là tu benefichi Cristo, ma qui Egli benefica te”, spiega Crisostomo. Questa virtù insegna l’amore per la saggezza, più di altre nutre la carità. San Giovanni chiama l’elemosina fonte: non si secca mai ed irrora tutte le virtù. “Se tu scoprirai questa fonte - egli dice, - la fonte di Dio si svelerà in modo tale, che supererà qualunque abisso”.

Il santo ritiene che l’elemosina, offerta per l’anima di un peccatore defunto, gli concederà qualche sollievo. San Giovanni chiama l’elemosina prestito, che la persona dà a nessun altro, se non a Dio, e dice: “Con una tale usura puoi acquistarti il Regno”.

L’interpretazione dell’elemosina da parte del santo non si limita all’ elargizione di denaro. Elemosina è anche l’umana partecipazione del cuore alle afflizioni e ai bisogni del prossimo. Elemosina può essere anche una semplice parola. “Se vedrai – spiega Crisostomo – che stanno maltrattando e picchiando una qualunque persona sulla piazza, e se puoi liberarlo dando soldi, lo libererai. Ma se puoi liberarlo con una parola, non essere pigro e fallo”.

Secondo l’insegnamento di san Giovanni, il Signore guarda non soltanto all’elemosina in sé, ma anche all’intenzione con la quale questa elemosina viene offerta. Il santo avverte che non bisogna beneficare per vanagloria. “Il Salvatore esige non soltanto che noi diamo l’elemosina, ma anche che noi la diamo come si deve”.

Un particolare valore agli occhi di Dio possiede l’elemosina segreta. Crisostomo consiglia di compiere le opere di misericordia in modo tale che sappia di esse soltanto colui che riceve l’elemosina, e, se possibile, che neppure colui che la riceve sappia da dove essa proviene. Una tale elemosina servirà da ostacolo al nemico nello schernire una persona e nell’accusarla di vanagloria, e porterà Dio stesso a scoprire il segreto e “allora vi sarà maggiore stupore e maggiore favore”.

L’elemosina è, allo stesso modo, particolarmente preziosa quando si offre non dal superfluo, ma dall’indigenza. Può servire da esempio a un tal genere di elemosina l’obolo della povera vedova (Lc 21, 1-4). “Sebbene tu fossi molto povero – dice il santo, - più povero perfino di coloro che ti chiedevano, tuttavia se avrai gettato due denari, tu avrai compiuto tutto; sebbene tu abbia dato un pezzo di pane, non avendo nient’altro, tranne esso, tu avrai adempiuto a tutto”.

Il santo padre si attiene all’opinione che l’elemosina debba prestarsi a tutti, senza discussioni. Egli mette in guardia contro l’indagare sulla vita di una persona e soltanto dopo decidere se beneficarla o meno. Chiunque sia un uomo – un assassino, un brigante, ecc. – Giovanni non gli rifiuta il diritto di “ricevere un tozzo di pane e un po’ di spiccioli”.

L’elemosina procura una grande vantaggio non a colui al quale si offre, ma a colui dal quale viene offerta. Crisostomo lo spiega con il fatto che a chi accoglie l’elemosina, in quel momento, non si perdonano i peccati, mentre a chi la offre si rimettono molti peccati. Il santo dice: “Imparate questo dalla stessa Sacra Scrittura, che dice: “Cornelio! Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite, in tua memoria, innanzi a Dio” (At 10, 4). Ma ecco cosa significano le parole innanzi a Dio: sebbene tu abbia molti peccati, poiché l’elemosina è la tua avvocata, non aver paura; nessuna delle Forze Superne la può fermare; essa esige il dovuto, avendo nelle mani il proprio manoscritto. E’ la voce di Dio stesso che dice che chi ha fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lo ha fatto a me (Mt 25, 40). Così per quanti siano altri peccati tu abbia, la tua elemosina ha la meglio su tutto”.

Il santo padre riteneva le offerte in favore dei poveri superiori a quelle per abbellire la chiesa. “La chiesa non esiste perché in essa si fondi l’oro, si forgi l’argento; essa è la solenne assemblea degli angeli. Perciò noi esigiamo il dono delle vostre anime, - dice il santo, - perché grazie all’anima Dio accoglie anche gli altri doni. A quel tempo la mensa non era d’argento, e non da un calice d’oro Cristo diede da bere il Suo Sangue ai suoi discepoli (…). Vuoi venerare il Corpo di Cristo? Non disprezzare, quando vedi Cristo nudo. E quale vantaggio se qui lo veneri con manti di seta, mentre fuori dalla chiesa gli lasci sopportare la fame e il bisogno? (…) Quale vantaggio se la mensa di Cristo è piena di stoviglie d’oro, mentre Cristo stesso si estenua per la fame? (…) Egli, come un pellegrino senza riparo, cammina e chiede asilo, mentre tu, invece di accoglierlo, abbellisci il pavimento, i muri, i vertici delle colonne, attacchi alle lampade delle catene d’argento, e non vuoi gettare uno sguardo su Cristo, legato in una prigione”.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

Il maestro dalla bocca d’oro [Crisostomo] guidava la sua vita in conformità alla sue parole, realizzando l’ideale evangelico. Egli diede un nuovo orientamento al meccanismo della gestione dell’arcivescovado di Costantinopoli esclusivamente verso l’attività caritativa. Il rappresentante della Chiesa della Seconda Roma vendeva a favore dei poveri i calici della chiesa e il marmo prezioso. Per quelle stesse necessità egli usava i beni lasciati in eredità alla Chiesa. Crisostomo costruì a Costantinopoli una grande quantità di case di accoglienza per i poveri, egli stesso si occupava con ardore dei carcerati e invitava a prestare loro soccorso.

 

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In questo modo, san Giovanni non soltanto con la parola, ma anche con l’esempio della propria vita insegna e spinge all’accumulazione della carità, mentre con la sua santità e la permanenza al cospetto del trono di Dio mostra i frutti di questa virtù cristiana. Questo esempio è quanto mai attuale ai giorni nostri, perché l’umanità, dopo essere entrata nel XXI secolo, con tutte le sue conquiste tecnologiche, non ha saputo porre fine  all’ineguaglianza  sociale, alla povertà, alla miseria, all’assenza di diritti e ad altre piaghe, che sanguinano nel corpo di molti stati. Il nostro compito, compito e dovere di tutti i cristiani, è di mostrare al mondo quel colossale potenziale, quelle possibilità inesauribili, che ha il cristianesimo, che guarisce e trasfigura il cuore di ogni uomo, che con sincerità si avvicini a Cristo e si prostri ai suoi piedi.