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LA RESPONSABILITA’ SPIRITUALE DELLA DONNA NELLA TRASMISSIONE DELLA FEDE Fatima Masotti CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) Italiana
Ci sembra opportuno, prima di affrontare la tematica relativa alla
responsabilità spirituale della donna nell’Islam, dare qualche
chiarimento relativo alla visione del mondo e alla nobile funzione
dell’uomo e della donna nella prospettiva islamica, funzione ben
espressa nel Sacro Corano dall’ordine dato da Dio agli angeli di
prosternarsi davanti ad Adamo dopo la sua creazione. Questo ci permette di restituire alla prospettiva religiosa la sua
valenza, e di vivificare la conoscenza della vera Luce della
dimensione della fede religiosa e della religione in sé, ridotta
oggi, purtroppo, a causa di certe degenerazioni fondamentaliste,
concezioni filosofiche razionaliste e spiegazioni antropologiche prive
di collegamento con la realtà metafisica, cioè con l’Intelligenza
Divina, ad un puro formalismo letteralista o a questioni sociali. Tutto ciò porta a
dimenticare il vero significato di dogmi, simboli e riti (che,
soli, procurano quelle influenze spirituali che possono opporsi alle
tendenze psichiche o inferiori alle quali l’uomo di oggi è così
costantemente esposto) precludendo così a uomini e donne la
possibilità di beneficiare effettivamente delle aperture
intellettuali e spirituali presenti nelle religioni, che hanno proprio
lo scopo, secondo il significato etimologico della parola, di
ricollegare l’uomo a Dio. Solo questo ricollegamento consente di svolgere con efficacia la loro
funzione sulla terra, permettendo di vivere con scienza, in conformità,
cioè, all’azione dell’Intelletto Divino, anziché partecipare a
quel caos dei tempi ultimi preannunciati dai testi sacri di tutte le
religioni ortodosse, e a prepararsi al riconoscimento in “Spirito e
Verità” di quel Cristo che cristiani e musulmani attendono nella
Sua seconda venuta come giudice. (Egli verrà come Giudice imparziale
a giudicare della sincerità nell’adesione di ogni credente alla
rivelazione divina e la sua funzione sarà quella di “Sigillo della
Santità”). Tornado alla dottrina islamica, il mondo visibile e quello invisibile,
l’immanente e il trascendente, l’esteriore e l’interiore, fanno
entrambi parte della manifestazione di quell’intero Universo che,
nel suo insieme, esprime tutta la creazione divina, e che non è altro
che il riflesso dell’Unità di Dio, verso il quale tutto deve
orientarsi, come indica la stessa etimologia di “Universo”,
letteralmente “verso l’Uno”. Dio stesso dice in una tradizione profetica: “Ero un tesoro nascosto, ho voluto essere conosciuto e ho creato il
mondo”. Il mondo perciò viene inteso come lo sviluppo delle Qualità Divine
comprese sinteticamente nel Principio e ogni aspetto dell’esistenza
come il riflesso della grandezza divina di cui mantiene l’essenza, e
che richiama l’uomo a una responsabilità conoscitiva, per farlo
risalire dalla realtà contingente alla vera realtà principiale e
divina. Il mondo è, in definitiva, come lo specchio del Creatore, dove l’uomo
e la donna, che, come afferma il Sacro Corano, sono stati generati da
un unico Essere, rappresentano le uniche creature in grado di
ripristinare l’Unità di tutta la realtà e l’Unicità di tutta
l’esistenza, la comprensione della Sua Assolutezza (o meglio
riattualizzare quella consapevolezza conoscitiva unitaria e unica in
Dio e per Dio, nel Quale si trovavano prima della caduta, quando la
luce del loro spirito non era ancora offuscata dall’anima
passionale), tutto ciò in quanto creati “secondo la Sua forma” (‘ala
suratihi); vi è infatti un collegamento diretto preferenziale tra
Dio e l’uomo, fatto risiedere nell’Intelletto, ed è anzi questa
la condizione che rende loro possibile la Sua conoscenza, il
congiungimento spirituale alla Sua realtà, scopo dell’esistenza
umana. Questo perché, benché Egli si conosca perfettamente da tutta
l’eternità, vuole infatti conoscersi attraverso la conoscenza che
noi abbiamo di Lui, possibilità questa che dimora nella Sua infinità
ovvero nella Sua Legge eterna (come già detto “La scienza dei due
mondi si riassume in questo detto: a Lui appartenete e a Lui farete
ritorno”; all’uomo compete l’Islam, ovvero la sottomissione a
Dio nella Pace). Nella dimensione religiosa l’uomo e la donna partono da queste precise
certezze che informano tutta la loro intera esistenza. (che
ricapitolando sono: la consapevolezza che la natura umana è
improntata alla forma divina, che l’unico scopo della vita umana è
la salvezza dell’anima e la conoscenza di Dio, che le religioni
costituiscono i mezzi per realizzare questa conoscenza, e rendere così
possibile la nobile funzione di essere Suoi rappresentanti). (Sottomissione, Fede e Vocazione costituiscono perciò l’essere
religioso, e sono dimensioni strettamente collegate). Ne consegue che per i credenti non vi è distinzione fra vita religiosa
e vita ordinaria, poiché tutto viene consacrato in modo naturale:
tramite i riti, la legge sacra e la dottrina, tutti gli aspetti e i
piani dell’esistenza vengono integrati in un'unica dimensione
sacrale che attribuisce ad ogni momento e ad ogni azione lo sforzo di
una costante prospettiva di conoscenza e l’uomo, messo così in
collegamento con la Realtà superiore, impara, a riconoscere in se
stesso e in ogni persona o cosa la presenza misericordiosa di Dio, e
ad avere una sempre più profonda conoscenza della realtà, nella
misura della sua trasparenza interiore, della sua sincerità, e della
sua capacità di non farsi condizionare dai propri limiti. Si tratta
di vivere nell’aspirazione di ricevere da Dio in ogni momento e in
ogni attimo dell’esistenza un insegnamento. Questa prospettiva, che costituisce una preparazione alla vita, viene assicurata tradizionalmente, in primo luogo, dalla famiglia. Infatti, uniti nel sacro vincolo del matrimonio, l’uomo e la donna possono realizzare un esempio di vita spirituale e diventare il ricettacolo delle benedizioni divine, essendo appunto il simbolo dell’unico Principio creatore a cui tutto deve essere ricondotto. Tuttavia, è sul piano della creazione che uomo e donna assumono necessariamente delle qualità e delle funzioni diverse, in conformità alla loro natura e ai ruoli che sono chiamati a ricoprire, che permettono loro di condurre nel modo migliore la vita in questo mondo. La consapevolezza delle reciproche differenze costituisce, quindi, il primo passo nel ristabilimento di un’armonia che Dio stesso ha voluto con la creazione del mondo. È importante a questo riguardo sottolineare come vi sia sempre una corrispondenza fra ordine terrestre e ordine celeste, da cui si desume che le stesse funzioni terrene di uomini e donne non siano inventate o imposte da qualcuno, bensì corrispondano ad un preciso ordinamento celeste a cui dobbiamo conformarci per fare veramente la “Volontà di Dio” e adempiere così al vero fine della Creazione, cioè la possibilità della Sua Conoscenza. Purtroppo è facile rilevare, a questo proposito, come vi sia invece costantemente il pregiudizio di una disparità ontologica e istituzionalizzata tra uomo e donna. In realtà non esiste un Islam femminile e uno maschile: la differenza è soltanto in chi crede e chi non crede, siano essi uomini o donne. Ricordiamo in proposito che uomini di grande levatura spirituale non hanno disdegnato di ricevere insegnamenti spirituali da parte di figure femminili, come quella di Rabi’a, celebre santa musulmana dell’ottavo secolo, presentata da Attar, uno dei santi più celebri della Persia medioevale, come “colei che rivaleggiò con gli uomini d’eccezione” e che penetrò tutti i misteri della Verità. Per non parlare di Saida Maryam, la Vergine Maria, ben presente anche nel Corano, unica figura femminile considerata al pari degli Inviati Divini; di lei il Profeta affermò che nel Giorno del Giudizio, marcerà davanti a Lui, nella schiera delle persone pure, per confermare la posizione al vertice da lei assunta nella gerarchia spirituale. Non si tratta né per l’uomo né per la donna di assumere una posizione di potere personale, ma piuttosto di riconoscere l’autorità di una gerarchia che viene dall’alto, da Dio stesso. Quindi, se la donna esprime un atteggiamento di sottomissione verso il marito, è perché quest’ultimo, a sua volta, è sottomesso a Dio. Se manca nell’uomo la capacità di elevare se stesso per farsi condurre da Dio, e condurre di conseguenza la propria famiglia, la responsabilità di ciò non va ricercata nella religione, ma piuttosto negli uomini, che non possono più dirsi tali. Secondo un detto profetico il matrimonio è metà dell’Islam e rappresenta la via dell’amore spirituale, dove il coniuge diventa lo specchio di Dio, e l’amore per lui il riflesso dell’amore Divino. Esso costituisce uno dei principali supporti per mettere in pratica i principii della religione. Infatti è nella quotidianità del vivere insieme che si impara ad incarnare veramente ciò che altrimenti resterebbe solo teorico e mentale, e perciò si testimonia la propria conformità ai principii tradizionali, cioè allo Spirito stesso. È infatti in tale quotidianità che la trasparenza si rende necessaria in considerazione delle responsabilità che si assumono verso i propri familiari. Nella famiglia la donna può contribuire a fare emergere nei propri figli quell’essenza divina che conferisce dignità alla vita, educandoli, grazie all’impegno rituale, al rispetto per le norme divine e alla fedeltà alla Verità che ci proviene dalla Rivelazione, ad una vera e propria Signoria dello Spirito su tutte le cose. Emergeranno allora in modo naturale i caratteri della nobiltà spirituale che sono, ad esempio, la virilità, la fermezza e la benevolenza negli uomini, quelli della dolcezza, pazienza e comprensione nella donna; si ritroveranno ad essere naturalmente come all’origine della creazione donna e uomo. La vera naturalezza che su di un altro piano coincide con la trasparenza dell’individuo, e con la capacità di non farsi condizionare dalla tendenza della propria anima, costituiscono infatti un patrimonio da riconquistare. Cresceranno allora con la consapevolezza che i ruoli che Dio ha
attribuito in questa vita possono diventare dei supporti spirituali
per un processo di purificazione e di elevazione, e prenderanno così
coscienza della responsabilità ricevuta di essere Suoi rappresentanti
sulla terra nel ricostituire e mantenere quell’ordine e
quell’armonia che il mondo aveva quando fu creato, e che la caduta
dell’uomo, con il conseguente allontanamento dal Principio, ha
alterato. Il ruolo di madre e di moglie non può essere assolto nell’Islam se non ci si riferisce a princìpi giusti, cioè ai princìpi divini che la donna deve incarnare testimoniandoli con il proprio esempio quotidiano, affinché i suoi familiari possano trarre da esso un insegnamento. Le madri rivitalizzano con l’esempio vissuto la Tradizione, comunicandone la vera essenza: è per questo che si dice che “l’Islam migliore è quello delle madri”; inoltre, nello svolgere il ruolo di madri e di mogli, le donne possono incarnare, trovandosi nella necessità di trascendere se stesse, quelle qualità divine insite nella Creazione e che discendono dall’archetipo celeste riattualizzandolo. Tale finalità può essere raggiunta grazie all’imitazione dei modelli di Santità che la Rivelazione ci presenta; infatti, secondo un hadith, una volta il Profeta disse: “Tra le donne che hanno raggiunto la perfezione, le migliori sono Maryam e Khadijah”. Maryam rappresenta il modello perfetto di donna e di madre, pura espressione delle qualità femminili dell’accettazione, della pazienza e della dolcezza, priva di caratterizzazioni personali che possano limitare l’universalità di tale figura. Il giusto equilibrio tra fermezza e pazienza testimoniato da Maryam, deve costituire per le donne di tutti i tempi, ma soprattutto oggi, un esempio per operare quell’orientamento tradizionale della propria famiglia cui ella è chiamata. Tuttavia, l’esempio di moglie e madre, vissuto conformemente alla Tradizione, sia nel sostenere amorevolmente il marito, sia nell’educare efficacemente i figli, è rappresentato, nell’Islam, dall’altra figura chiave di perfezione femminile, la moglie del Profeta, Khadija. Khadija fu la prima credente ad entrare nell’Islam, in un tempo in cui gli uomini erano ormai senza Dio. L’idolatria era diffusa, e quando Muhammad cominciò la predicazione venne fortemente osteggiato dal suo popolo. La moglie fu in effetti un sostegno solido e fedele che lo accompagnò per quindici anni, finché ella non morì. La perfezione di Khadija sta nell’aver realizzato un’unione sublime con Dio, attraverso il Suo Profeta, che si irradiò su tutti gli aspetti della sua vita. La donna devota, la moglie fedele e la madre amorevole non sono delle etichette, ma furono per Khadija l’espressione esteriore di una realizzazione spirituale effettiva e di una sintonia elevata con il Profeta. Maryam e Khadija costituiscono l’esempio ancora vivente di chi abbia saputo unire in sé l’azione in questo mondo con la contemplazione di Dio. Nei racconti delle loro vite non riscontriamo atteggiamenti passivi o fatalistici rispetto agli avvenimenti accaduti, ma piuttosto quell’azione sorretta dalla fede che, come dice il Vangelo, muove anche le montagne. Nella tradizione islamica questo è espresso con il termine Tawaqqul, l’abbandono fiducioso, che deriva dall’atto di affidare se stessi al Protettore, al-Wakil, cioè Dio stesso. Questa è la sollecitudine nel servire Dio come se Lo si vedesse: l’espressione più elevata della virtù spirituale, ihsan, di cui tutti i Santi e i Profeti hanno sempre dato grande esempio. Tutto ciò richiede indubbiamente un’abnegazione personale e un vero e proprio sacrificio, nel senso etimologico della parola, “sacrum facere”, cioè rendere sacra ogni azione in questo mondo. È l’azione compiuta con la rinuncia ai frutti, di cui parlano anche le tradizioni estremo-orientali, dove ogni atto è ridotto al suo archetipo e ricondotto di conseguenza a Colui dal quale ogni azione procede. È proprio questa abnegazione, intesa come abbandono di una prospettiva
individuale per realizzare invece le qualità che Dio ci ha dato, che
spaventa molto ai nostri giorni e si trova in antitesi con le
rivendicazioni di un’autonomia e di un’autorità femminili, ma,
come abbiamo visto, nasce dalla consapevolezza che questo mondo è
solo un passaggio, e costituisce per tutti noi l’opportunità di
accedere alle possibilità sovraindividuali. Infatti in Dio l’uomo e
la donna hanno la loro suprema identità e non nella propria
individualità contingente ed effimera, ed è l’effettiva presa di
coscienza di questa identità già in vita, a costituire la vera
realizzazione spirituale e la ragione d’essere delle Religioni e
dell’esistenza dell’uomo e della donna sulla terra. Infatti, solo
attraverso la realizzazione spirituale si può rendere effettiva la
consapevolezza di cosa sia il nostro vero essere, fuori e al di là di
ogni divenire, di quello che siamo in principio e nell’eternità,
dando così testimonianza della nostra origine. Per tale motivo nell’Islam la rivendicazione di posizioni o di
funzioni diverse da quelle che la Tradizione conferisce alla donna,
non solo non ha alcun senso, ma costituisce addirittura un
comportamento antispirituale, perché viene svolto in alternativa a
quella che deve essere la vera ricerca su cui ogni credente è
impegnato, ossia la purezza spirituale. Quello che è importante capire è che tradizionalmente ciò che conta
è il fine e di conseguenza non vi deve essere nessun attaccamento o
pretesa individuale, ma solo lo slancio per attuare ciò che è meglio
per noi e per i nostri figli in vista della vita eterna dopo la morte.
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