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‘Abd
al-Ghafur Masotti
CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) Italiana
Parlare di quello che può essere l’insegnamento “tradizionale” nella vita familiare implica innanzitutto fornire qualche chiarimento sul significato della famiglia stessa nell’Islâm. Secondo una tradizione profetica (hadîth), il legame di parentela o legame di sangue, rahim, è una realtà spirituale e metafisica che esiste nel mondo dello spirito e fissa i fondamenti stessi della famiglia nel mondo: “Io sono Iddio Misericordioso (Ar-Rahmân). Io ho creato la Parentela (Rahîm) e Io ho fatto derivare il suo nome da uno dei Miei Nomi. Chi si lega con essa, Io mi lego a lui; chi si separa da essa, Io mi separo da lui!”. Parimenti è detto che Iddio crea gli Esseri e, quando ha terminato, la Parentela si alza e dice, rivolgendosi a Dio: “Ecco un legame e un’occasione in cui ci si rifugia in Te”. Lo Shaykh Ibn Arabi, detto Shaykh al-Akbar, cioè “il più grande dei Maestri” (Doctor Maximus nella teologia cristiana), vissuto in Spagna nel XII secolo, aggiunge: “Pratica la generosità verso chi ti è unito per parentela, perché essa è derivata da Ar-Rahmân, il Misericordioso, ed è grazie ad essa che si producono le relazioni (an-nisab) tra noi e Dio. Chi è generoso verso i suoi parenti, Iddio lo attirerà; chi allontana i suoi parenti, Iddio lo allontanerà”. L’importanza di questa parentela come realtà spirituale è attestata da numerosi hâdîth dai quali emerge che il musulmano deve intrattenere buone relazioni con tutti i parenti, anche se non credenti. Infatti la parentela è una realtà spirituale effettiva, al pari dei riti: il fatto di non credere soggettivamente a questa realtà non toglie nulla alla sua efficacia, proprio perché si tratta di un’ordine di realtà che sfugge alla volontà dell’individuo. Tali legami che vincolano a chi ci ha generati fisicamente in questo mondo sono anche un simbolo dei legami spirituali che ci legano a Colui che regge tutti i fili della Creazione. Tale
legame, di cui parlano tutte le Religioni dell’umanità, nessuna
esclusa (religione = da re-ligare), è espresso in modo
particolarmente sintetico dalla tradizione
Indù con queste parole: “Sai
tu qual è il filo mediante il quale questo mondo e l'altro mondo e
tutti i mondi e tutti gli esseri viventi sono l'un l'altro
collegati?... Sai tu qual è quell'intimo reggitore il quale
dall'interno regge questo mondo e l'altro mondo e tutti gli
esseri?” [1]…“Tutto
questo universo è legato a Me, come perle legate a un filo” [2]. La via spirituale verso Dio consiste essenzialmente nel riconoscere questo legame in tutte le modalità dell’esistenza e nel proclamare costantemente, come facciamo noi musulmani, che Lâ-Ilâha illâ-Llâh, “non vi è Dio se non Iddio”, e che da Lui proveniamo e a Lui ritorneremo, secondo la “testimonianza di fede”, la Shahada, che costituisce il pilastro centrale dell’Islam. L’uomo deve perciò costantemente tendere a realizzare l’Unicità di Dio nella diversità e nella molteplicità che sono le caratteristiche proprie del mondo in cui viviamo. Ecco perché la necessità dell’unità comunitaria è così tanto messa in evidenza nella tradizione islamica. E la prima, e per così dire la più “elementare” espressione di tale unità, è la coppia, fondamento della famiglia. Il matrimonio, senza il quale non si potrebbe parlare di famiglia tradizionale, spiritualmente orientata, è dunque il primo simbolo della riunificazione di quell’Uomo Universale, al-insân al-kâmil, che Dio chiede a uomini e donne di realizzare, o meglio di ricostituire. “O uomini, temete il vostro Signore che vi ha creati da un solo essere, e da esso ha creato la sposa sua, e da loro ha tratto molti uomini e donne. Temete Iddio, in nome del Quale rivolgete l'un l'altro le vostre richieste e rispettate i legami di sangue. Invero Iddio veglia su di voi.” [3]. La famiglia non è un’aggregato di individui che le circostanze biologiche o il caso hanno riunito. Essa non è un male inevitabile che genera legami da sciogliere per trovare l’indipendenza individuale oggi così ricercata. Si tratta al contrario di una comunità organica nella quale ciascuno adempie ad una funzione provvidenzialmente determinata. Il matrimonio, che costituisce il fondamento di tale famiglia, ha per scopo di riattualizzare l’unità di quell’Uomo Universale (al-insân al-kâmil), l’ Adamo Primordiale (l’Adam Qadmòn della tradizione ebraica – il Christos Pantokrator - nuovo Adamo della tradizione cristiana), fatto “a immagine e somiglianza di Dio”, anche secondo la Rivelazione islamica, Alâ SuratiHi, è detto, “secondo la Sua forma”, creato “maschio e femmina”, che solo successivamente si polarizzerà in Adamo ed Eva, nostri progenitori. E’ particolare che in arabo, lingua sacra nella quale ad ogni lettera corrisponde un valore numerico, come d’altronde per la lingua ebraica, l’espressione “Adam wa Hawwa”, Adamo ed Eva, abbia lo stesso valore numerico di “Allah”, Iddio. Questa polarizzazione primordiale nei due principii maschile e femminile, dualità che tesse la trama di tutta la creazione e che appare sul piano umano sotto la forma uomo-donna, è resa provvidenzialmente necessaria dalla volontà divina che si esprime così in un hadîth qudsi (hadîth in cui è Dio stesso a parlare): “Ero
un tesoro nascosto. Ho voluto essere conosciuto e ho creato il
mondo”. Questa conoscenza di Dio, fine ultimo dell’esistenza umana, non può partire che dall’accettazione della nostra condizione duale che, pertanto, non deve essere vissuta come un’opposizione, ma, al contrario, come una complementarietà, per passare quindi all’attualizzazione di un’unità che non è altro che l’Unità in Dio, che l’uomo e la donna devono ritrovare grazie al matrimonio. Naturalmente, nell’unità principiale ed essenziale di Dio, non vi è né maschile né femminile, tuttavia paradossalmente, almeno in apparenza, nessuno può penetrare nel Suo santuario interiore senza avere pienamente integrato, nel proprio essere, maschile e femminile, cioè gli elementi positivi del sesso nel quale egli o ella è provvidenzialmente nato/a. Si tratta, infatti, per ciascuno, di conoscere Dio realizzando pienamente quele qualità che Dio stesso ci ha donato. È così che compete al padre, in quanto rappresentante di Dio sulla terra (Khalîfa), di dirigere la famiglia, secondo l’esempio del Profeta, di condurla spiritualmente e ritualmente, e di suscitare in tale famiglia la conformità alla legge e allo spirito della parola divina. Mentre compete alla madre la conservazione di questo deposito con affetto e misericordia: “Le donne virtuose sono le devote che proteggono nel segreto quello che Iddio ha loro donato” [4]. *** Dalle considerazioni fatte fin qui emerge chiaramente che il concepimento fisico dell’essere umano non rappresenta che l’aspetto più evidente, per così dire la punta dell’iceberg, di una realtà ben più profonda e complessa, passibile di una molteplicità di considerazioni a vari livelli, che possiamo definire come “dottrina del concepimento spirituale”, o “paternità spirituale”, che tanta importanza ha in tutte le Tradizioni. A
livello del tutto generale possiamo ricordare come nella tradizione
buddista, per esempio, è
esplicitamente affermato che al concepimento sono indispensabili tre
elementi: l'unione del padre e della madre, la fertilità della madre,
e la presenza del Principio Divino [5],
che corrisponde a
quella natura divina che Filone chiama “la più alta, la più
antica e più vera causa” della generazione, mentre i genitori
non ne sono che cause concomitanti [6];
e corrisponde altresì a quella che Platone chiama la “natura sempre
feconda” [7],
nonché a quell’ unico vero Padre di cui parla san Paolo: “dal
quale prende nome ogni paternità in cielo e sulla terra” [8].
Oppure a quella di Aristotele secondo cui è il Sole a generare
l’uomo[9],
e Dante designa appunto il Sole “luce feconda”, “padre
d'ogni mortal vita”, che con i suoi raggi risplendenti dà a
ognuno la possibilità di dire: “Subsisto” (io esisto) [10].
E Jalalu'd-Din Rumi, il grande Santo e poeta persiano praticamente
contemporaneo di Dante, afferma: “Quando per l'embrione arriva il
tempo di ricevere lo spirito, a quel punto il Sole glielo fornisce.
Per quale via esso è arrivato a unirsi con il Sole nel grembo
materno? Attraverso vie nascoste che sfuggono alla nostra percezione
sensibile” [11]. Quanto
è stato detto è sufficiente a dimostrare che fra tutte le
Tradizioni esiste un accordo totale sul fatto che “è lo Spirito
che dà la vita, la carne non giova a nulla” [12],
e che è necessario prendere sul serio il comando evangelico: “Non
chiamate nessun uomo padre vostro sulla terra, poiché uno solo è
il vostro Padre: quello che sta nei cieli” [13],
che ci rimanda immediatamente non solo alla dottrina dell’origine
spirituale dell’uomo, ma alla dottrina islamica
dell’“Unità Assoluta” (Tawhîd) che ha la sua
espressione formale più perfetta proprio nella Testimonianza di Fede
(“non vi è Dio se non Iddio”). Possiamo ora comprendere come i principii di ordine superiore appena esposti discendano e si applichino, per così dire, all’uomo, attraverso un processo educativo a vari livelli, il cui grado più elevato è rappresentato dall’esempio del Profeta Muhammad (s.), che si attua grazie alla presenza del Maestro spirituale, vivente ed operante anche nella realtà odierna, chiamato nella tradizione islamica “Shaykh”. Tali Maestri, ad imitazione del Profeta, trasmettono l’influenza spirituale, baraka, sola capace di sacralizzare tutti gli atti della vita familiare, professionale e sociale. Questi sono i depositari della dottrina da cui deriva il metodo con il quale uomini e donne possono realizzare la Conoscenza di Dio in questa stessa vita. Proprio in virtù di questa “benedizione” ricevuta da Dio spetta ai padri e alle madri l’insegnamento dei loro figli, secondo lo Spirito, Spirito di Verità, al-Haqq, che è uno dei più bei Nomi di Dio. Avendo ricevuto il retto insegnamento, i genitori devono quindi mettere in pratica il consiglio del Profeta: “Tornate dai vostri cari! Insegnate loro i principii e ordinate loro la pratica e pregate come mi avete visto fare”. Si tratta evidentemente di insegnare il vero sapere, cioè la cosiddetta scienza utile, quella che è ricordata da Dio stesso in questi termini: “La scienza dei due mondi si riassume in queste parole: a Dio noi apparteniamo e a Lui faremo ritorno!”[14]. Si tratta, in seno alla famiglia e nel quadro della vita familiare, di fornire l’insegnamento spirituale necessario che permetterà all’adolescente di acquisire, o piuttosto di mantenere e vivificare la conoscenza e il discernimento necessario, furqan, che è una delle qualità che Dio accorda all’uomo: (dal Versetto del Trono) “…..Non vi è costrizione nella religione, la Retta Via ben si distingue dall’errore”[15]. Questa discriminazione permetterà al giovane di evitare, se Dio lo vuole, la confusione fra i due tipi di conoscenza, quella essenziale e quella non-essenziale, che non dovrà avere il carattere sistematico dell’insegnamento scolastico; non si tratta affatto di acquisire qualcosa di nuovo da accumulare come si fa per le nozioni scolastiche. Si tratta al contrario di rivelare in questo mondo una Conoscenza che preesiste dall’eternità, una Conoscenza che conduce a Dio stesso. Così l’insegnamento comincia con il ricordare loro questa Realtà che non dovrà mai essere dimenticata dall’uomo per tutta la sua esistenza: “Non vi è Dio se non Iddio”, “Lâ-Ilâha illâ-Llâh”. “Fate in modo - dice il Profeta - che questa sia la prima parola che entra nelle orecchie dei vostri figli”. Infatti è questo che il padre sussurra all’orecchio del neonato, l’attestazione dell’Unicità di Dio, che non c’è altro che Lui stesso, attestazione che deve essere sussurrata allo stesso modo anche all’uomo morente, proprio a significare che l’intero arco dell’esistenza umana deve svolgersi alla luce di tale unica Verità. I genitori hanno quindi un’immensa responsabilità nell’insegnamento che viene dato ai loro figli. Dice infatti Dio nel Corano: “ I perdenti, nel giorno della Resurrezione, saranno coloro che hanno causato la propria rovina e quella della propria famiglia. ”[16]. E il Profeta disse in eco a queste parole: “ Non siete voi tutti pastori del vostro gregge? L’imam che è a capo degli uomini è il pastore e ne è il responsabile; l’uomo è il pastore delle persone della sua casa e ne è il responsabile; la donna è il pastore dei suoi figli e ne è la responsabile.” Coloro che pretendono che gli impegni familiari, professionali e sociali impediscano d’avere una vita spirituale, o che la loro vita spirituale costituisca un ostacolo alla vita familiare, professionale e sociale, non hanno, secondo la Parola coranica, “ stimato Dio nella giusta misura ” e non sanno che è la verifica della nostra conformità a Dio, Ikhlas, in tutti gli atti della nostra vita, in tutte le sue modalità, familiare, sociale, professionale, che farà di noi delle persone “rovinate” oppure dei “vincenti” nel Giorno del Giudizio. “Gli uomini pensano - dice il Corano - che li si lascerà dire: “Noi crediamo” senza metterli alla prova?”[17]. Al contrario, è soprattutto nell’educazione dei figli che i genitori troveranno la prova migliore per la loro vita e per la loro realizzazione spirituale, poiché elevare i loro figli permetterà la loro propria elevazione. *** Nessun’obbligo rituale è richiesto al bambino fino all’età della ragione, a causa della sua vicinanza alla purità dello stato primordiale. Nei primi anni il bambino è ancora nello stato naturale di unione con Dio e non ha conoscenza del mondo della dualità nel quale è nato. Mano a mano che si allontanerà, crescendo, da questo stato primordiale, i suoi genitori dovranno ricordargli in modo sempre più costante, di questa unità che progressivamente “dimentica” (uomo = dimentico), unità che l’adolescente, diventato uomo o donna, dovrà realizzare in tutti gli atti della sua vita, e, dalla pubertà, la sua partecipazione alla ritualità religiosa diventa obbligatoria. In attesa di questo, il solo obbligo del bambino è l’obbedienza ai genitori in quanto simbolo agito di questa unità e di questa conformità all’ordine divino: “Sii riconoscente a Me e ai tuoi genitori; a Me farete ritorno”[18]. Il bambino immerso nella vita familiare partecipa, d’altronde, poco a poco, e secondo la sua misura, alla vita rituale della famiglia in modo del tutto spontaneo, così come partecipa agli altri momenti della famiglia, la quale si ritrova cinque volte al giorno per pregare, momenti particolarmente benedetti per il ricordo e la concentrazione sull’essenziale; i riti sono infatti come le pietre che si pongono in un ruscello per passare all’altra riva e ritrovare la stabilità. Ogni preghiera canonica infatti, seguita dalla preghiera sul Profeta e sulla sua famiglia, fa scendere sull’intera famiglia la benedizione divina, baraka, di cui beneficeranno tutti i componenti della famiglia stessa, indistintamente. L’insegnamento spirituale dei ragazzi non consiste quindi solo nell’educarli ai diritti e ai doveri della vita, ma soprattutto nel suscitare in loro quella facoltà di discernimento, provvidenzialmente già presente in loro, fra ciò che è essenziale da ciò che non lo è, tra ciò che si conforma all’ordine divino e ciò che è inutile o dannoso. Tale realizzazione della Verità implica uno sforzo spirituale, jihâd, (che non significa “guerra”) per ogni istante della propria vita. Questo sforzo, che non è altro che la sola e vera “Grande Guerra Santa”, al-jihâd al-akbar, non è esente dalla fatica e dalla pena che accompagnano sempre la purificazione dell’anima, la quale ha la tendenza all’inerzia e all’attaccamento alle cose di questo mondo. Tale fatica è la stessa che l’adolescente deve affrontare durante il corso della sua educazione, educazione alla quale non deve sottrarsi nessuno, giovane, adulto, uomo, donna, anziano, in quanto tutti dobbiamo farci “bambini” docili agli insegnamenti che, a vari gradi e livelli, ci vengono impartiti da Dio attraverso i suoi rappresentanti sulla terra, siano essi Profeti, Santi, Maestri, che ci indicano quale Via verso la Verità la retta intenzione e lo sforzo spirituale. Ma fra i “segni dei tempi” che le Tradizioni ci indicano come tipici degli ultimi tempi, troviamo, fra gli altri, la rottura dei legami di parentela, l’assenza di misericordia degli adulti verso gli adolescenti, l’oblìo della trasmissione della conoscenza sacra nelle famiglie, e l’estrema difficoltà, per le nuove generazioni, di trovare dei veri Maestri spirituali. La presenza, in occidente, di famiglie musulmane, talvolta inserite in confraternite contemplative condotte da veri Maestri, confraternite naturalmente inserite nella più ampia comunità islamica, la Ummah, può provvidenzialmente ridare, in un occidente via via più secolarizzato, il gusto di una vita orientata verso l’essenziale. Questo “gusto” spirituale è indispensabile in tempi in cui è sempre più difficile distinguere, secondo la parola evangelica, il grano dal loglio, e dove l’Anticristo, chiamato il Dajjal nella tradizione islamica, tenterà di corrompere anche gli eletti, se ciò fosse possibile. Questo è il “gusto” che una corretta educazione spirituale deve saper trasmettere alle nuove generazioni, gusto che più di mille discorsi può dare il senso di una reale disposizione ad aprirsi alla realtà divina con sincera sottomissione e attivo rifiuto di farsi governare dalle cose di questo mondo, disposizione sintetizzata mirabilmente da una delle tradizionali posizioni del Buddha, che siede tenendo una mano aperta verso l’alto e l’altra che tocca la terra, a significare la docile ricettività verso l’influenza del Cielo e l’attiva vigilanza e padronanza nei confronti della terra, cosa che è, esattamente il contrario di ciò che avviene oggi, quando si insegna ai giovani a reagire “razionalmente” e con coscienza “laica”, alle leggi divine, mentre li si rende del tutto passivi e acritici nei confronti degli stimoli provenienti da questo mondo
[1] Brihadaranyaka Upanishad, III,7,1 [2] Bhagavad Gita, VII,7 [3] Corano, 4,1 [4] Corano, 4,34 [5] Majjhima Nikaya, I,265-266 [6] Filone, Quis rerum divinarum heres, 115 [7] Platone, Leggi, 773e [8] Ef, 3,15 [9] Aristotele, Fisica, II,2 [10] Dante, Paradiso, XXII,116; XXIX,15 [11] Rumi, Mathnawi, I,3775-3779 [12] Gv, 6,63 [13] Mt, 23,9 [14] Corano, 2,156 [15] Corano, 2, 256 [16] Corano, 39,15 [17] Corano, 29,2 [18] Corano, 31,14
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