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Salì sul palco a Roma, licenziata di nuovo la donna-simbolo dell’articolo 18

Cacciata senza giusta causa dai suoi datori di lavoro era stata reintegrata e aveva raccontato la sua esperienza alla manifestazione della Cgil

La magistratura deve ancora esprimersi sulla validità dell’ultimo provvedimento

Francesco Alberti

 

VARESE - L’oculata regia sindacale aveva fatto di lei e della sua contrastata storia professionale un simbolo, una piccola icona, della mobilitazione in difesa dell’articolo 18. Era stato sufficiente farla salire, il 23 marzo scorso, durante la mega manifestazione della Cgil al Circo Massimo, sul palco dal quale pochi minuti dopo avrebbe parlato Sergio Cofferati, facendole raccontare la sua piccola-grande vittoria: quella di una ragazza che, grazie all’articolo 18, aveva riottenuto il posto di lavoro ingiustamente sottrattole. Spot riuscitissimo, olè dalla moltitudine cigiellina: Barbara Panzeri, 33 anni, bionda, minuta, brillantino al naso e chiacchiera spedita, fece ritorno al suo paese, nel Varesotto, tra flash e telecamere.
Un mese dopo, guarda caso proprio a ridosso della festa del Primo Maggio, la favola è già finita: la ragazza-simbolo dell’articolo 18 è di nuovo a spasso. Due giorni fa, i proprietari della Casa di Riposo «Columbus», nella quale Barbara lavora da due anni, per nulla intimoriti dall’«aureola» sindacale nel frattempo conquistata dalla loro dipendente, le hanno spedito una letterina di poche ma inequivocabili righe: «Lei può considerarsi licenziata».
Insorge il sindacato, protesta la ragazza, i vertici della Casa di Riposo tengono duro: si finisce davanti al giudice del lavoro, che ancora si deve pronunciare. Risultato: vuoi per il clima surriscaldato del Primo Maggio, vuoi perché attorno al totem dell’articolo 18 lo scontro è ormai ideologico, il «caso Panzeri», che in altri tempi sarebbe rimasto confinato tra le piccole storie di provincia, diventa simbolo e spaccato di una crescente incomunicabilità sociale.
La Cgil di Varese, che da mesi tiene nel mirino la Casa di Riposo, e in particolar modo il suo amministratore Mario Carnevali, non ha dubbi sui motivi del licenziamento: «E’ una evidente ritorsione contro l’attività sindacale della Panzeri, che ha cercato di far valere i diritti dei lavoratori in un istituto gestito con sistemi di altri tempi». «Falso, tutto falso, - replica Carnevali - la Cgil sbraita solo perché quella ragazza, ormai, è diventata per loro una sorta di Giovanna d’Arco dell’articolo 18. Ma il licenziamento non c’entra nulla con l’impegno sindacale: è il suo comportamento, offensivo e minaccioso verso alcuni superiori che l’avevano scoperta a fumare nella stanza di uno dei nostri ospiti, la causa dell’allontanamento».
Ritorsione antisindacale? O una sigaretta di troppo? Non è la prima volta che questa Casa di Riposo da un’ottantina di dipendenti si ritrova davanti al giudice del lavoro. Qualche mese fa, nella bacheca dell’istituto, apparve un foglio dal titolo «Bollettino delle mongole e delle stordite» con nomi e cognomi delle dipendenti che timbravano in ritardo il cartellino. E, nello stesso periodo, sul sito Internet di Carnevali, comparve una filippica che suonava così: «I sindacati hanno rovinato l’Italia. Vengo a sapere che una mia dipendente (la Panzeri? ndr. ) si è fatta capofila di un’iscrizione di massa. Bene, contrasterò nel modo più drastico, con i mezzi messi a disposizione della legge, tutti gli iscritti al sindacato».
Ora Carnevali fa retromarcia: «Sì, ho cambiato idea, non credo che quelle cose sul sindacato siano giuste. Il bollettino? Beh, era in tono bonario, scherzavo ...». Ma sul licenziamento di Barbara non scherza: «Con noi ha chiuso». E pure i sindacati sono avvertiti: «Sono disposto al dialogo, ma la devono smettere di starmi addosso per ogni stupidata».
Barbara, nella sua casa nel Varesotto, si prepara a vivere la sua prima Festa del Lavoro senza lavoro: «Altro che stupidate, finchè non mi sono iscritta al sindacato, tutto è andato bene, mi avevano perfino nominato responsabile di reparto. Poi sono cominciate le lettere disciplinari, le minacce. Non mi rassegno ...». Gli olè del Circo Massimo sono ormai un ricordo.
 
 
Tratto da "Il Corriere della sera" 1 maggio 2002