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Immigrati, ricchezza del mondo


di Moises Naim



Lucio Garcia, un giardiniere di Merrifield, in Virginia, parla tutti i giorni con la sua famiglia in una remota città della Bolivia usando una carta telefonica prepagata che gli costa pochi centesimi di dollaro al minuto. Edie Baron Levi, un parlamentare messicano, fa la spola tutte le settimane tra Città del Messico e Los Angeles, dove risiede (e dove risiedono anche i suoi elettori). Iqbal Farouqi, un cameriere pakistano che lavora a Milano, ha usato i suoi guadagni per comprare due piccoli autocarri a Karachi, che affitta ai parenti e gestisce attraverso Internet. Questa non è la diaspora dei vostri genitori. La globalizzazione ha grandemente accresciuto i mezzi grazie ai quali persone che vivono in un paese possono continuare a partecipare alla vita culturale, economica e politica di un altro paese.

I trasferimenti di denaro, i viaggi e le comunicazioni, le reti e le associazioni di connazionali residenti all'estero offrono opportunità di «vivere» in un paese pur risiedendo in un altro e probabilmente rappresentano una nuova importante fonte di prosperità per i paesi in via di sviluppo. Ai vecchi tempi, i principali strumenti a disposizione degli emigranti per restare in contatto con la madrepatria e la sua cultura erano la lingua, le ricette di cucina e ogni tanto una lettera, o una visita al paese d'origine. Adesso i viaggi a buon mercato permettono visite più frequenti, e la cosa vale non soltanto per l'emigrato, ma anche per famigliari e amici. La liberalizzazione del commercio e la promozione delle esportazioni significano un aumento dei beni dei vecchi paesi disponibili nei nuovi.

La mattina, gli immigrati possono sorseggiare il caffè mentre leggono sui monitor dei computer i giornali della madrepatria, o magari ascoltano la stazione radio che si sono lasciati alle spalle. La sera, le antenne paraboliche permettono agli immigrati di ricevere le notizie che riguardano i loro paesi d'origine. Telefonare a casa costa enormemente meno che dieci anni fa, e questo traffico è all'origine di un aumento di cinque volte (dal 1997) del tempo di conversazione fatturato alle società di carte telefoniche prepagate, e fa di queste carte un mercato che nei soli Stati Uniti vale 4 miliardi di dollari l'anno. E nessuno di questi privilegi è necessariamente limitato ai benestanti. Inoltre, la deregulation dei mercati finanziari internazionali, combinata con le nuove tecnologie, ha reso più sicuro, più facile e meno costoso inviare denaro in patria. Lo scorso anno i residenti all'estero hanno spedito a casa più di 100 miliardi di dollari.

Per molte famiglie, il denaro inviato dai parenti oltre confine fa la differenza tra una relativa povertà e una totale indigenza. E lo stesso è vero per numerosi paesi. Le rimesse dei lavoratori all'estero rappresentano il 24% del prodotto interno lordo del Nicaragua, il 14,5% nel caso dell'Uganda e il 7% per il Bangladesh. In Messico, le rimesse sono la terza maggiore fonte di valuta estera, dopo le esportazioni di petrolio e il turismo. E in Turchia superano di quattro volte i capitali esteri che affluiscono nel paese sotto forma di investimenti diretti. Nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, le rimesse sono una cifra molto più grossa dei fondi ricevuti dall'estero tramite gli investimenti di portafoglio o l'assistenza ufficiale allo sviluppo.

Ma l'impatto di questi legami economici va molto oltre il sostegno che ne ricevono i singoli o l'aiuto a ricostruire una scuola locale. Le inchieste mostrano che circa il 10% degli immigrati ispanici negli Stati Uniti intrattengono rapporti commerciali con i loro paesi d'origine. In effetti, il ruolo degli immigrati nel commercio internazionale può avere una notevole incidenza economica. Come ha rilevato James Rauch della University of California, San Diego, un aumento del 10% degli immigrati negli Stati Uniti si tradurrà col tempo in un aumento delle esportazioni statunitensi verso il paese d'origine pari al 4,7%, e in un aumento delle importazioni dallo stesso paese pari all'8,3%. Il professor Rauch riferisce inoltre che in Canada un aumento del 10% degli immigrati da un dato paese finirà col produrre un aumento dell'1,3% delle esportazioni canadesi verso quel paese, e un aumento dl 3,3% delle importazioni.

Gli imprenditori di successo nati all'estero diventano spesso importanti investitori nei paesi d'origine, cui apportano non soltanto denaro, ma anche un'iniezione di spirito e capacità imprenditoriali, che non di rado fanno dolorosamente difetto a questi paesi. Da un'inchiesta del Public Policy Institute della California risulta che gli immigrati altamente specializzati nella Silicon Valley (specialmente cinesi e indiani) hanno assimilato con successo sia il potenziale tecnologico, sia il modello imprenditoriale basato sul venture capital e sulla crescita accelerata, che contraddistingue molte società americane operanti nei settori high-tech. Una metà degli intervistati ha dato vita a società consociate, joint ventures, iniziative in subappalto o altre attività nei loro paesi d'origine. Non c'è dubbio che questa tendenza vada contro l'idea tradizionale della fuga dei cervelli.

Mentre gli ingegneri, gli scienziati e i manager di talento che emigravano all'estero mantenevano in genere assai pochi legami con i paesi d'origine, oggi va prendendo forma uno schema nuovo: un vero e proprio «guadagno di cervelli», che fornisce opportunità di scambi commerciali e investimenti esteri, oltre che una notevole fonte di energie imprenditoriali. Come rileva lo studio dei Public Policy Institutes, la fuga dei cervelli (nel caso dei professionisti cinesi e indiani oggetto dell'inchiesta) è stata sostituita dalla circolazione dei cervelli, intendendo con ciò una varietà di flussi bilaterali di lavoratori altamente specializzati tra i paesi tecnologicamente avanzati in cui risiedono e quelli meno sviluppati in cui sono nati. I politici e i governi hanno concentrato in misura crescente la loro attenzione sullo sfruttamento della ricchezza e del potere politico di questa nuova specie di espatriati.

Jairo Martinez, uno dei molti colombiani che vivono a Miami, ha recentemente conquistato un seggio nel Congresso colombiano, dove rappresenta i suoi compatrioti che risiedono all'estero. Per i politici messicani è prassi abituale fare campagna elettorale e raccogliere fondi a Los Angeles, a Houston e in altre città americane. Ma uno sfruttamento della ricchezza e dei talenti contenuti nelle comunità di immigrati allo scopo di ricavarne sostanzialmente vantaggi politici si risolve, mi pare, in un'occasione sprecata. Come i governi hanno fatto una priorità nazionale delle politiche volte a convincere le società multinazionali e i gestori di fondi internazionali a investire nei loro paesi, così nelle loro strategie di sviluppo debbono assegnare un posto centrale agli sforzi per guadagnarsi il favore della nuova diaspora. La creazione del maggior numero possibile di opportunità per gli espatriati di vivere nel loro paese anche quando risiedono all'estero - per esempio, facilitare i trasferimenti di denaro, i viaggi e le comunicazioni - dovrebbe figurare in una posizione di spicco nella lista dei compiti urgenti dei governi di tutto il mondo.

 

Tratto da "La Stampa", 15 giugno 2002

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