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Alla Cassazione non piacciono le retate anti-immigrati: stessi diritti per tutti

 

Maristella Iervasi



Espulsioni illegittime. La Cassazione riconosce agli extracomunitari colpiti da un decreto di espulsione il diritto a difendersi davanti ad un tribunale e sentenzia che a tutti va garantita parità di trattamento nella tutela dei diritti e degli interessi illegittimi di cui ciascuno, anche lo straniero che si trova in Italia, è portavoce. Uno smacco al governo e al «favoloso» mondo di Scajola che ha «ordinato» alle questure la caccia ai clandestini sull’intero territorio nazionale anticipando così l’applicazione del ddl-Bossi-Fini sull’immigrazione ancora in discussione al Senato: l’accompagnamento coatto alla frontiera di qualsiasi clandestino senza tutela giurisdizionale. Proprio su questo i giudici a sezioni riunite fanno un richiamo esplicito non solo alle norme della Turco Napolitano che garantiscono la possibilità di rivolgersi al giudice per lo straniero espulso, ma più in generale ai principi dell’ordinamento costituzionale e a norme internazionali che con nettezza stabiliscono che la legge è uguale per tutti.
Scajola, dunque, ancora una volta è stato «strillato» sul più bello: dopo la vicenda dei «numeri truccati» sui rimpatri di clandestini che vedevano imbarcati sulle navi e sugli aerei anche immigrati curdi-turchi e di etnia tamil che avevano chiesto lo status di rifugiato - provvedimento poi bloccato in extremis - ieri la sentenza (n° 2513) della Cassazione, che ha dato ragione ad un cittadino bulgaro che chiedeva ai giudici di pronunciarsi su un provvedimento emesso dal prefetto. Un decreto con il quale si negava all’immigrato la revoca dell’espulsione. «Mi fa molto piacere - ha detto Cristopher Hein, il direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) - che un orientamento così autorevole arriva in questo momento, in cui le autorità pensano a procedere all’espulsione e al respingimento di immigrati curdi-turchi e dello Sri-lanka senza dare tempo di fare un ricorso». Come si ricorda, oltre cento immigrati curdi sbarcati a Lecce che avevano fatto richiesta di asilo, hanno ricevuto il diniego dello status di rifugiato. La commissione ministeriale li aveva ascoltati in tutta fretta, senza soffermarsi a capire le storie individuali. «La loro situazione deve essere riconsiderata - ha sottolineato Hein - con una seconda istanza. Noi abbiamo parlato con queste persone è abbiamo raccolto testimonianze di storie di persecuzione e torture con segni evidenti sul corpo. Torturati per il semplice sospetto di appartenere ad un partito politico come il PKK».
Per Livia Turco dei ds ed ministro della solidarietà sociale, la sentenza della Cassazione ricorda a chi governa, «ma che questa destra si è messo sotto i piedi, che quando c’è una legge in vigore piaccia o non piaccia va applicata». Mentre Giulio Calvisi, coordinatore ds delle politiche sociali, precisa: «Siamo in presenza di un vero e proprio smacco nei confronti del governo che nel ddl Bossi-Fini si appresta ad introdurre norme palesemente incostituzionali in materia di espulsioni».
Intanto Umberto Bossi è stato «affrontato» da un clandestino peruviano di nome Delmo che ha visto il leader del Carroccio per strada e gli ha chiesto cosa pensasse degli extracomunitari. Ne è partito un botta e risposta: l’immigrato ha detto di essere un clandestino da tre anni, un medico costretto a fare il piastrellista e il manovale. Bossi ha replicato: «Se lei non è in regola deve andare al suo paese e faremo in modo che lei ritorni da dove viene. «Lei è un razzista?» lo ha incalzato il piastrellista-medico. «In che senso - ha detto Bossi - questo è un paese che ha una storia, ci mancherebbe altro che lo apriamo al mondo, pensi ci sono cinque miliardi di poveracci. Si rovescerebbero in Europa, sarebbe finito l’occidente. Bisogna aiutare la gente a casa loro: questo è il fine della nostra politica».

Tratto da "L'Unità" 25 febbraio 2002

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