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Il Belgio legalizza l'eutanasia. Dopo l'Olanda è il secondo paese al mondo


Marina Mastroluca



 Non è stato un passaggio indolore, anche se l’esito era dato ormai ampiamente per scontato. La Camera bassa del Parlamento belga ha approvato giovedì in via definitiva una legge che autorizza l’eutanasia, o meglio il suicidio assistito. Varato con 87 voti a favore, 51 contrari e dieci astensioni, il provvedimento che autorizza la «dolce morte» stabilisce la non perseguibilità penale del medico che aiuterà un malato a togliersi la vita, ma che dovrà attenersi ad un preciso codice di comportamento.

 

Il Belgio segue di poche settimane un’analoga decisione dell’Olanda, dove dal primo aprile scorso l’eutanasia non è più illegale. La legge belga ricalca per molti versi i criteri-guida della normativa olandese, che regolamenta le modalità di intervento del medico ed è ben lontana dal costituire una licenza di uccidere. Ma a differenza di quanto previsto in Olanda, il suicidio assistito sarà consentito solo ai maggiorenni (in Belgio la maggiore età scatta a 16 anni).

L’età non è il solo discrimine, il diritto a morire si applica a persone che siano comunque perfettamente in grado di intendere e di volere, così da poter esprimere in modo inequivocabile la loro volontà. La richiesta di ricorrere all’eutanasia dovrà essere messa per iscritto e dovrà anche essere «volontaria, riflettuta e reiterata», comunque libera da pressioni esterne. Spetterà inoltre al medico verificare che il paziente sia affetto da una malattia incurabile, che provochi una «sofferenza fisica o psichica costante e insopportabile». Solo in presenza di tutte queste condizioni, il medico sarà autorizzato ad intervenire, previo consulto di uno specialista indipendente che dia la sua valutazione sulla gravità della patologia: sarà un’apposita commissione a verificare che tutti i passaggi siano stati rispettati e a dare il via libera. È consentita l’«obiezione di coscienza», il medico che sia contrario all’eutanasia non potrà essere costretto a praticarla.

Costati oltre un anno di lavoro - ma i primi passi risalgono a tre anni fa - i 16 articoli della legge sull’eutanasia si sono scontrati con una forte opposizione. Passata in Senato nell’ottobre scorso, la normativa sostenuta dalla maggioranza socialista-liberale-verde si è trovata sulla strada un centinaio di emendamenti, tutti respinti, e il netto rifiuto dell’opposizione cristiano democratica. Il dibattito alla Camera, durato due giorni, è stato accesissimo. E tuttora l’opposizione non si dà per vinta, annunciando il ricorso davanti alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.

«Ognuno ha il diritto di morire con dignità», ha detto Anne-Mie Descheemaeker, dei verdi fiamminghi, convinta che la possibilità di spegnere l’interruttore della vita diventata ormai solo sofferenza possa addirittura dare ai malati il «coraggio per andare avanti giorno dopo giorno».

Opinioni diametralmente opposte sul fronte degli oppositori. «Siamo contrari perché crediamo che il diritto di vivere sia molto importante - sostiene Filip Dewinter, leader del partito di estrema destra Vlaams Blok -. La legge rende troppo facile il ricorso all’eutanasia a persone che non sono malati terminali». Le perplessità riguardano la definizione della categoria di persone che può chiedere di essere aiutata a morire. Nella legge, secondo gli oppositori, non si fa distinzione tra malati terminali e persone affette da malattie incurabili, che pure potrebbero continuare a vivere per anni (in questo caso la normativa appena varata prevede comunque un passaggio ulteriore, rendendo obbligatorio il parere di un terzo medico). Altro punto dolente per l’opposizione, l’introduzione nel testo del concetto di «malattia psicologica incurabile».

Il dibattito sull’eutanasia è stato riaperto di recente dalla decisione della Corte europea dei diritti umani di respingere il ricorso di Diane Pretty, una donna britannica affetta da una gravissima malattia neurologica e che avrebbe voluto che fosse garantita l’impunità al marito, al quale aveva chiesto di aiutarla a morire. Il suo caso era stato bocciato dai giudici inglesi e successivamente dalla Corte di Strasburgo: Diane morì pochi giorni dopo la sentenza, uccisa dalla malattia nel modo che lei aveva cercato di evitare, per asfissia.

In diversi paesi europei la questione è stata ripetutamente sollevata. In Spagna dal ‘95 non si considerà più come omicidio l’eutanasia e il suicidio assistito, anche se la pratica non è legale. In Francia la legge distingue tra eutanasia attiva e passiva, termine con cui si intende la morte indotta dalla sospensione di terapie non volute dal paziente. In Danimarca è consentita la sospensione volontaria delle terapie.

 

 

Tratto da "L'Unità" 16 maggio 2002

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