<<<-salva o stampa il file, leggerai con più comodo

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

 



LA COSCIENZA DI UN GIUDICE

Un verdetto fra diritto e pietà umana

FRANCESCO MERLO

 
Cinque giudici popolari e due togati hanno assolto a Milano il professore Ezio Forzatti dall’accusa di omicidio volontario premeditato, riparando così alla barbarie della condanna di primo grado. I giudici d’appello hanno stabilito che il 21 giugno del 1998 l’ingegnere Forzatti staccò sì la spina del respiratore al quale, in un corridoio dell’ospedale di Monza, era ancora attaccato il corpo di sua moglie, ma non la uccise né poteva ucciderla perché era già morta: «Più precisamente - ha stabilito il processo - nessuno può provare che fosse ancora in vita». Dunque «il fatto non sussiste», e a nulla valgono le disquisizioni sulla vita cardiaca o sull’anima, sul soffio divino o su un imprendibile riflesso che due ore prima sarebbe transitato sulle pupille. Quel corpo che veniva pompato da una macchina non era più la custodia di quella donna ma il suo esilio, non più il suo vestito ma il suo sepolcro; e l’ultimo segnale di vita, l’ultimo riflesso di vita era stato l’abbandono della vita, la fuga della vita.
Questa sentenza, della quale non si conoscono le motivazioni, più ancora che riconciliare il diritto con la dignità e con la pietà, restituisce alla civiltà giuridica il tocco della grazia, il sorriso del cielo. I giudici non hanno, infatti, depenalizzato l’eutanasia, non hanno sentenziato che «il fatto non costituisce reato»; non hanno d’imperio introdotto nel codice il diritto a sopprimere la vita del malato in coma irreversibile. Hanno sottratto alla spietatezza della norma un caso che la norma non poteva contenere, hanno certificato il malessere del Diritto davanti all’eutanasia, che la legge ancora punisce come una brutalità omicida ma che la coscienza, anche quella dei giudici - la pubblica coscienza - da tempo riconosce come un atto d’amore, di grande e disperato amore. Questa sentenza di Milano dimostra appunto che non c’è legge che non sia interpretabile secondo il dettato della pubblica coscienza, e che sempre le leggi cercano, fosse pure attraverso le sottigliezze e i cavilli, di captare il mondo, di adeguarsi al passo e al fiato della società, e alla fine si spezzano sotto al loro stesso peso.
Sentenza malinconica, come sempre la vera giustizia, è soprattutto una sentenza umile che, in un certo senso, si rifiuta di sentenziare, perché non si può sentenziare sulla vita e sulla morte, e perché c’è una inadeguatezza del nostro codice dinanzi alla eutanasia, c’è una «vacanza» che costringe i giudici a sfoderare un rigore da Santo Uffizio e una ipocrisia barbara e inumana. Ma i giudici di Milano, non potendo sentenziare sull’eutanasia, hanno sentenziato su quell’omicidio volontario che - lo capivamo già tutti - non ha nulla a che vedere con l’atto d’amore del professor Forzatti, un uomo pieno di dignità che, in quattro anni, non si è concesso un solo singhiozzo pubblico, mai un talk show, neppure un’intervista: «Io - scrisse Montanelli - non solo approvo il suo gesto, ma lo ammiro, anche se ora non vorrei trovarmi nei suoi panni, e ancor meno vorrei trovarmi nei panni del suo giudice». C’è un giudice a Milano, si potrebbe oggi aggiungere, ma non c’è una legge.
E tuttavia, quale che sia la soluzione giuridica da adottare, e al più presto, anche in Italia; quale che sia quella adottata nei Paesi più laici, come a esempio l’Olanda e l’Inghilterra, non esiste, se non nelle utopie, una giurisprudenza «felice» sull’eutanasia. Ora sappiamo però che esiste la possibilità di sottrarre certi speciali casi all’oltranza del diritto, all’astrazione della norma penale. Forse questa sentenza di Milano indica la strada anche al legislatore, forse è un avviso ai naviganti della politica. Si può infatti puntare, per legge, sulla discrezionalità del medico, il quale possa decidere, caso per caso; e sulla umanità del giudice che sappia, come a Milano, farsi da parte, ritirarsi, non immischiarsi, perché «il fatto non sussiste».

 

 

Tratto da "Il Corriere della sera" 25 aprile 2002