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INVECE DELLA GUERRA

di ENRICO PEYRETTI

[Il testo seguente, recentemente ridiffuso dall'autore nella rete telematica, e' un estratto dal libro di Enrico Peyretti, Per perdere la guerra, Beppe Grande Editore, Torino 1999, pp. 89-94. Enrico Peyretti e' una delle figure piu' illustri della cultura della pace in Italia, per contatti: peyretti@tiscalinet.it o anche: enrico.peyretti@tin.it]


Questa guerra Nato-Serbia ci ha lacerato, piu' che mai. Ha lacerato
dialoghi, rapporti, anche amicizie, persino famiglie. Alcuni hanno visto che
si poteva e si doveva evitare, altri hanno valutato che non c'era altro da
fare contro l'oppressione del Kossovo. Ora, cercando di placare il dolore,
proviamo a riflettere tanto su questa particolare guerra, quanto sul
fenomeno generale della guerra contemporanea, chiedendoci: che cosa si puo'
fare, invece della guerra, in presenza di un conflitto acuto riguardante i
diritti umani?
*
A . Prima della guerra:
- un conflitto non e' una guerra, fino a quando non lo si pensa risolvibile
soltanto con la distruzione o sottomissione dell'avversario.
- i negoziati devono essere condotti senza ultimatum e senza minacce (l'art.
52 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati vieta la minaccia o
l'uso della forza nel corso delle trattative e dichiara nullo ogni accordo
sottoscritto a seguito di tale costrizione).
- i negoziati hanno bisogno della partecipazione continua di mediatori
civili imparziali, esperti e colti sulla storia, tradizioni, valori,
diritti, attese delle diverse parti in conflitto.
- nelle zone di conflitto la comunita' internazionale deve inviare e fornire
di mezzi adeguati (sempre meno costosi della guerra) un numero grande,
abbondante di osservatori civili, conoscitori di quelle realta' umane, a
fare da testimoni, moderatori, e possibili mediatori.
- ogni stato abbia un ministro della pace, e, nel caso di una tensione o
conflitto, nomini un "avvocato dell'avversario", come si fa entro ogni
ordinamento civile, col compito di cercare, ascoltare, difendere le ragioni
dell'avversario e accusato (questo e' lo sviluppo di una proposta di Aldo
Capitini nel 1948 e di Tullio Vinay nel 1977; cfr. Enrico Peyretti, La
politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998, pp. 46-49).
- l'Europa non si affidi solo alla difesa militare, ma realizzi il Corpo di
Pace Civile Europeo, proposto a suo tempo da Alex Langer, secondo la
raccomandazione votata il 10 febbraio 1999 dal Parlamento Europeo (v.
"Azione Nonviolenta", marzo 1999, pp. 10-13).
- L'Italia non si affidi solo alla difesa militare, ma attui l'art. 8, punto
2, comma e), della legge 8 luglio 1998, n. 230, 230, Nuove norme in materia
di obiezione di coscienza, per il quale l'Ufficio nazionale per il servizio
civile ha il compito di "predisporre (...) forme di ricerca e di
sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta". Il 14 aprile
1998 la Camera impegnava il Governo con una raccomandazione (v. "Azione
Nonviolenta", giugno 1998, p. 14) a costituire, entro sei mesi dall'entrata
in vigore della legge, le strutture per l'attuazione di detto articolo.
- preventivamente, e' utile "mescolare" il piu' possibile le parti
potenzialmente "nemiche": per esempio praticare e incoraggiare il turismo in
terra "nemica", non ritirare il personale diplomatico ne' evacuare i
concittadini da tali territori; cio' non lascia configurare quella terra
come bersaglio vivente, con i suoi abitanti, e costringe a prolungare i
negoziati invece di passare alle armi.
- nel dibattito sul conflitto l'informazione di ogni parte deve sottrarsi
alla funzione di propaganda, che e' la prima azione bellica, quella contro
la verita' e l'obiettivita'; per esempio deve anche denunciare e criticare i
torti della propria parte e dare spazio alle ragioni portate dalla parte
avversaria. La discussione deve essere centrata sull'oggetto e non sui
soggetti.
- acquisire nella cultura politica e nell'opinione pubblica che la guerra e'
illegittima per la suprema legge internazionale, la Carta dell'Onu, che
contiene come prima volonta' e impegno fondativo delle Nazioni Unite la
"decisione" di "salvare le future generazioni dal flagello della guerra", la
quale e' dunque fuori legge, sicche' decidere una controversia con la guerra
e' reato internazionale; inoltre, per l'Italia, la guerra e'
incontrovertibilmente illegittima per l'art. 11 della Costituzione che
impegna a ricercare alternative non belliche anche alla guerra di difesa. La
Carta dell'Onu, art. 51, (e la nostra Costituzione in tale quadro) consente
soltanto la difesa militare immediata e provvisoria da un attacco armato
diretto, con l'obbligo di deferire immediatamente la questione al Consiglio
di Sicurezza dell'Onu.
- gli stati hanno il dovere giuridico e morale di rendere autorevole ed
efficace la funzione dell'Onu contro le minacce alla pace, anche mettendo ad
immediata disposizione i contingenti necessari all'azione coercitiva
internazionale (art. 45). Questa azione di polizia dell'Onu e' un'azione
diversa dalla guerra nella sostanza, nei fini e nell'etica: deve  usare il
minimo di forza necessaria, deve far calare la violenza, deve operare nei
limiti della legge, mentre la guerra usa una forza crescente ed una violenza
maggiore, eleva il tasso di violenza complessiva, opera fatalmente fuori
dalla legge.
- diffondere la consapevolezza che quando la politica include la guerra,
cioe' il dare in modo organizzato e premeditato la morte artificiale ad
esseri umani, e il distruggere le loro condizioni di vita, essa contraddice
l'idea stessa di politica, che e' l'arte del convivere componendo e non
sopprimendo le diverse esigenze vitali e i diritti umani. Oggi la "polis",
lo spazio della politica umana, e' l'intera famiglia umana.
*
B. Dentro la guerra:
- avere il coraggio di uscirne, che e' superiore e piu' nobile del coraggio
di entrarvi.
- non umiliare l'avversario, perche' cio' e' stoltezza arrogante e
disastrosa; perche' la vittoria punitiva (Versailles 1919) non fonda ne'
assicura la pace, ma la schiaccia insieme al vinto; perche' l'umiliazione
coltiva il revanscismo.
- de-costruire l'immagine del nemico: questa operazione di propaganda e di
condizionamento psicologico, che sempre sta all'inizio di una guerra,
configura il nemico come sub-umano per autorizzarne e incitarne l'uccisione
come unico colpevole, indegno di vivere. L'operazione informativa e
culturale contraria, restituendo umanita' al "nemico" col mostrarne le
relative ragioni e pregi, smonta le basi interiori della guerra.
- rispettare rigorosamente, anche unilateralmente, lo jus in bello, cioe' i
limiti alle azioni di guerra stabiliti nelle convenzioni internazionali e
dettati dalla ragione morale. Kant dichiara questo principio (cui fa seguire
alcuni esempi): "Nessuno Stato in guerra con un altro deve permettersi degli
atti di ostilita' tali da rendere impossibile, al ritorno della pace, la
confidenza reciproca" ed aggiunge: "altrimenti non sarebbe piu' possibile
concludere nessuna pace e l'ostilita' degenererebbe in una guerra di
sterminio" (Per la pace perpetua, sesto articolo preliminare, trad. di
Alberto Bosi, Edizioni Cultura della Pace). Cioe', se la guerra uccide del
tutto la pace, quindi la fiducia e la lealta', non puo' rivendicare la
minima razionalita' politica.
- tenere aperta e praticare largamente e abbondantemente la comunicazione
con il nemico, in tutte le forme possibili e con tutti i mezzi, da parte di
quanti piu' soggetti possibile, violando intensamente la separazione
bellica, per la stessa ragione ora detta: perche' la comunicazione in parole
umane tiene il conflitto in termini vitali e costruttivi, che sono
radicalmente alternativi alla guerra, anche quando sono tesi. Fin quando si
parla non si spara. L'arma espelle la parola, cioe' la forma umana, e la
parola espelle l'arma. Quando la guerra e' scoppiata, non sono cadute le
alternative ad essa, ma e' proprio quella l'ora di costruire e ricostruire
accanitamente le alternative piu' opposte alla guerra.
- non cercare ne' prospettare un risultato a somma zero, cioe' con tutto il
guadagno da una parte e tutta la perdita dall'altra (in cio' sta il concetto
nefasto di vittoria, che impone o di cedere nella resa senza condizioni o di
subire la distruzione), bensi' un risultato a somma inferiore per ciascuno,
ma positiva per entrambi, che da' la maggiore probabilita' di uscita dallo
spirito dissociato e distruttivo della guerra.
- distinguere chiaramente nel campo avverso i falchi dalle colombe, e
cercare lealmente e apertamente contatti costruttivi con le colombe, per
sostituire un rapporto dialogico e politico al rapporto bellico.
- dare riconoscimento e tutela giuridica ai disertori dalla guerra, tanto i
propri come gli altrui, onorando il loro diritto inviolabile di sottrarsi
all'omicidio bellico in nome della comune universale umanita'. E' la
coscienza personale, e non l'autorita' politica, che decide moralmente se la
guerra e' giusta. Se cio' scardina il calcolo politico, non importa; anzi,
e' molto importante per il progresso umano. Il Parlamento Europeo, con la
risoluzione 7 febbraio 1983, riconosceva il principio dell'obiezione di
coscienza anche durante il servizio militare. Rodolfo Venditti commentava:
"Ogni uomo e' una coscienza in continuo cammino, in continua crescita" (Le
ragioni dell'obiezione di coscienza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986, p.
102; dello stesso Autore, L'obiezione di coscienza al servizio militare,
seconda edizione, Giuffre' 1994, pp. 29-30). La nuova legge italiana,
migliorando nettamente la precedente, stabilisce che, in caso di guerra, gli
obiettori in servizio "sono assegnati alla protezione civile ed alla Croce
rossa". Ma per il principio di cui sopra, essi potrebbero rifiutare questa
collaborazione indiretta alla guerra, secondo l'esortazione di don Milani. I
disertori stranieri sono tutelati in Italia dall'art. 20 della legge
sull'immigrazione e dall'art. 2bis della legge 390/92 per i profughi
dell'ex-Jugoslavia, ma l'applicazione alla frontiera e' stata spesso
manchevole.
- fare l'elogio del "disfattismo" e praticarlo civilmente. Questo
atteggiamento, criminalizzato dal minaccioso culto della guerra, consiste
nel meritorio "disfare" o inceppare il tremendo meccanismo psicologico e
tecnologico che arma gli uomini e li usa come strumenti in una
contrapposizione mortale.
- individuare e celebrare il comportamento esemplare di quei militari,
capaci di restare o tornare ad essere piu' uomini che soldati, i quali
difendono e proteggono, contro gli ordini, la popolazione "nemica" (si veda
ne "Il foglio" n. 262, settembre 1999, La pace dentro la guerra, sul caso
esemplare della medaglia d'oro commendatore Josef Schiffer, nel 1943-45).
*
C. A chi tocca?
Tutti questi e simili atteggiamenti ed azioni sono doveri contro la guerra
spettanti tanto alle pubbliche autorita', quanto, in ogni caso, ai singoli
cittadini.

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