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 Donne e pace: un viaggio nel mondo di chi dice NO

Redazione di Femmis

 

Girando per i siti delle organizzazioni femminili, delle testate giornalistiche, delle istituzioni – un’attività che portiamo avanti con entusiasmo e rigore ogni settimana - ci siamo rese conto di quanto sia forte, ovunque, l’impegno della donna per costruire un mondo di pace. Tutte, ma proprio tutte, le associazioni femminili che abbiamo “visitato” dicono NO alla guerra. Ma la loro voce, questa è una delle ragioni per cui è nata Femmis, spesso non è ascoltata. Peggio: non è trasmessa.

Così è nata l’idea di un viaggio settimanale tra le varie organizzazioni che nel mondo si sono espresse contro la guerra.

Abbiamo poi raccolto il materiale, guardando con rammarico ai documenti che non abbiamo potuto pubblicare integri, ma sperando che il percorso fatto possa essere un contributo utile a coloro che parteciperanno al Forum sociale europeo. Un piccolo appello: facciamo in modo di testimoniare con gesti e parole la nostra volontà di donne ad affrontare qualsiasi situazione di conflitto in modo pacifico. Partendo dal modo di partecipare al Forum stesso e convincendo magari i nostri colleghi ad abbandonare deleterie forme di protesta. Protestiamo in pace.

 

E il viaggio su percorsi di pace continua… Arrivederci al Forum!

 

la redazione centrale  di Femmis: Daniela, Silvia, Elisa

 www.femmis.org

Verona - 17 Ottobre 2002

 

 

 

 

DALL’ORIENTE

 

Cominciando dall’Iraq…

Rania Masri fondatrice e coordinatrice di Iraq Action Coalition comincia uno dei suoi interventi sull’Iraq dando voce a una donna irachena che racconta:

«sono contro la guerra che vuol dire distruzione, violenza, rovina. Nessuno dovrebbe essere per la guerra soprattutto quando i grandi poteri mondiali si mettono contro un paese in una guerra iniqua distruggendo ogni segno di progresso e riportando il paese al medioevo. Missili e bombe non pensano, essi colpiscono ed esplodono: non importa se sei un soldato o un civile, se sei giovane o vecchio, uomo o donna. Tu muori. Dove vai a nasconderti?»

Firmato: “una donna irachena di oltre cinquant’anni”

 

Masri continua poi affermando: «La Guerra contro il popolo iracheno non è finita nel 1991 con la dichiarazione del cessate il fuoco di George Bush. La guerra contro gli uomini, le donne e i bambini iracheni è continuata con selvaggia intensità. Ha solo cambiato forma: dalle bombe all’ agghiacciante silenzio dell’embargo (…)

 

…senza dimenticare l’Afghanistan

Di seguito presentiamo uno stralcio del comunicato stampa pubblicato, in occasione dell’anniversario dell’11 settembre, da Rawa, associazione di donne afgane.

 

«(…) Subito dopo la tragedia dell'11 settembre la potenza militare americana si è messa in moto per punire quelli che in precedenza erano stati i suoi sgherri. Un Afghanistan tenuto prigioniero, sanguinante, devastato, affamato, pauperizzato, colpito dalla siccità, è stato bombardato fino a farlo cadere nell'oblio, con i sistemi d'arma più sofisticati e avanzati che siano mai stati creati nella storia umana. Sono state così versate vite innocenti, molte più di quelle perse nell'atrocità dell'11 settembre. Non sono state risparmiate neppure gioiose feste matrimoniali. Il regime dei talebani e i suoi alleati di Al Qaida sono stati rovesciati senza che venissero intaccate in modo significativo la loro capacità militare. Ciò di cui invece non ci si è liberati è l'ombra sinistra della minaccia terroristica su tutto il mondo, e il suo alter ego, il terrorismo fondamentalista.

Né la coltivazione di oppio, né il potere dilagante dei signori della guerra sono stati sradicati in Afghanistan. In questo tormentato paese non ci sono né pace né stabilità, e neppure si è portato il minimo rimedio al flagello della povertà estrema, della prostituzione, del saccheggio sfrenato. Le donne si sentono molto più insicure che nel passato (…)»

 

Asianwomenonline.com.: “La pace non riguarda solo la sicurezza di alcune nazioni”

In un editoriale di Asianwomenonline.com, successivo all’attacco anglo-americano contro l’Afghanistan, oltre a criticare la “guerra contro il terrorismo” si accenna a guerre meno pubblicizzate:

«Quando parliamo di pace, non illudiamoci che sia sinonimo di assenza di guerra. Non lo è. Né la pace riguarda la sicurezza solo di alcune nazioni.  Né riguarda meramente i diritti delle grandi aziende di imporre i loro “diritti” ai popoli come è stato fatto grazie ad alcuni accordi e alle pratiche dell’Organizzazione mondiale del commercio. L’esempio più recente è quello dei brevetti riguardanti la chimica e la medicina, negati ai paesi in via di sviluppo in quanto non in grado di pagare alle grandi aziende le enormi somme di denaro richieste (…)

La pace è un alleata per i bambini e per le donne che cercano di creare un mondo migliore per se stesse e per le loro famiglie. La pace può essere raggiunta solo quando le donne non saranno più considerate delle mere statistiche nella casualità della guerra ma agenti attivi nel governare i processi dove i diritti delle donne sono protetti.Per realizzare questo c’è bisogno di ridisegnare il potere attuale in modo più radicale rispetto alla timida e cieca visione di Blair».

 

DALL’INGHILTERRA AGLI  USA

 

UK - Global Women’s Strike

Sono diverse le associazioni femminili che hanno aderito alla storica manifestazione tenutasi a Londra il 28 settembre scorso. Secondo gli organizzatori della “Dont’attaq Iraq March” (Marcia “Non attaccate l’Iraq”) erano presenti 400 mila persone. Tra queste le aderenti alla campagna internazionale Global Women’s Strike sul cui sito, e in particolare nella pagina dedicata alla “guerra del petrolio”, si legge: «Rifiutiamo  la propaganda secondo la quale questo massacro militare è una ragionevole risposta alle vite perse l’11 settembre» E inoltre: « Non si può ignorare  che ogni giorno 35 mila bambini muoiono di fame senza alcuna menzione da parte della CNN».

L’organizzazione ha anche dato il via ad una petizione dal titolo “Invest in caring not killing!” (Investite nel prendersi cura non nell’uccidere, ndr) dando una serie di motivazioni tra le quali, come primo punto, spicca la spesa annuale in armi:«oltre 900 bilioni di dollari, di cui la metà sono spesi dagli Stati Uniti, mentre il 10 per cento di questa cifra basterebbe ad assicurare la vita a tutti.

 

USA – Feminist Majority Foundation (FMF)

Nel notiziario settimanale della fondazione americana Feminist majority foundation la settimana scorsa (fine settembre, ndr) una notizia è interamente dedicata alla questione irachena ed è così titolata “Aumentano le critiche contro Bush sulla guerra all’Iraq”. Critiche che provengono dai democratici e da chi sostiene i diritti delle donne. «Nonostante la retorica di Bush sulla condizione delle donne in Iraq, molte leader femministe hanno firmato il testo “Not in Our Name” (Non nel nostro nome, ndr) contro la guerra in Iraq e la guerra al terrorismo».

Fmf ricorda l’attuale situazione delle donne afgane vittime della violenza che continua ad imperversare soprattutto in quelle zone dove non sono presenti le forze di peacekeping: «Dobbiamo finire quanto abbiamo iniziato in Afghanistan espandendo le forze di peacekeeping dietro la capitale, dando un maggiore aiuto umanitario e aumentando il nostro impegna per ricostruire il paese.  – afferma la presidente di Fmf, Eleonor Smeal - Non possiamo lasciare che i signori della guerra riprendano in mano l’Afghanistan e che svanisca il sogno di democrazia ed uguaglianza per le donne e le ragazze».

 

 

USA: Wilpf contro la guerra

La Wilpf statunitense (Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà) ha emesso in questi giorni un comunicato per richiamare i cittadini statunitensi contro i progetti di guerra del loro presidente: «Deploriamo l’uso di menzogne e di false giustificazioni fatto dal governo Usa per convincere i cittadini che l’eventuale guerra contro l’Iraq sia necessaria  per  contrastare un’ipotetica minaccia. – si legge nel comunicato -“Intelligent services” rivelano che l’Iraq non è collegato ad al-Qaeda e non è connesso ai fatti dell’11 settembre.» (dal notiziario Femmis 26/10/2002)

 

USA – National organisation for women  (NOW)

Anche questa organizzazione punta il dito contro le spese militari. Ma va oltre ricordando che:« Come è successo per le guerre precedenti, i fondi per le spese militari saranno dirottati dai settori dell’educazione, della salute, della spesa sociale e da altri settori vitali per la gente già abbastanza trascurati»

Now ricorda il costo che le donne devono pagare in conseguenza di una guerra e si sofferma sulla situazione delle donne irachene: «C’è il pericolo che si degeneri in una società militarizzata con una “cultura del kalasnikov” che si è diffusa in Afghanistan dopo anni di guerra. Una cultura militarizzata che ha fatto aumentare le violenze e l’oppressione delle donne. Un invasione dell’Iraq potrebbe portare a danni simili per la sicurezza e per diritti delle donne»

 

DALL’AFRICA

 

UGANDA – messaggio del gruppo femminile rurale

Alcuni stralci di un messaggio inviato all’associazione Global Women’s Strike per appoggiare la campagna “Invest in caring not killing!” (Investite nel proteggere non nell’uccidere, ndr):«Noi donne del Gruppo Kaabong per conto delle donne contadine dell’Uganda, in particolare della regione Karamoja, ci opponiamo alle azioni militari, ai soldi spesi per le armi e condanniamo sia gli atti di terrorismo contro gli Usa che la reazione statunitense ai fatti dell’11 settembre. Donne e bambini stanno morendo senza aver commesso nulla. Portiamo il messaggio di milioni di donne private  dei loro diritti basilari in tutto il mondo(…) Il gruppo delle donne di Kaabong prega in silenzio per coloro che sono morti a New York e a Washington ma anche per le donne e i bambini morti in Afghanistan (…)»

 

NIGERIA - Bisi Adeleye-Fayemi nigeriana, fondatrice del Fondo per lo sviluppo delle donne Africane (Awdf)

Intervenendo al nono forum internazionale di Awid (associazione sui diritti della donna e sullo sviluppo), tenutosi dal 3 al 6 ottobre a Guadalajara in Mexico, ha affermato:«Non possiamo lasciare che il patriarcato, autoritario, militaresco e senza equilibrio, che ha in mano il potere e i governi vada avanti promovendo la fame e la distruzione mondiale». Ha fatto inoltre un riferimento esplicito alla politica del presidente americano George Bush, un modo di fare politica «non condiviso dalle femministe di ieri e di oggi».

 

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO – “A partire dall’educazione”

«Le donne congolesi, che la guerra la conoscono bene, sono sempre più consapevoli dell’importanza del loro ruolo come educatrici alla pace». A raccontarlo a Femmis è suor Claire Mbuyi Banza impegnata nell’arcidiocesi di Kinshasa nella promozione della donna:«Sto facendo diverse conferenze sull’educazione alla pace – racconta – cercando di educare al valore dell’essere umano, al rispetto della vita, all’importanza delle relazioni interpersonali, all’inutilità della guerra come soluzione ai problemi. Le donne si rendono conto che il loro intervento nell’educare alla nonviolenza nei primi anni d’età è fondamentale».

Secondo la Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà in Rdc continua ad esserci una mancanza di volontà politica tra i principali attori della mediazione del conflitto: l’inclusione delle donne non è  vista come una priorità. Altri problemi  per chi lavora per sensibilizzare alla nonviolenza riguarda la mancanza di fondi, di supporti tecnologici, di una completa copertura dei media.

 

DALL’ITALIA

 

Marea: una Campagna per la pace

Mentre in Italia il governo esprime solidarietà a Bush e all’America, diverse risultano  le iniziative contrarie all’intervento armato tra le quali la campagna promossa dalla rivista Marea: «Italia difendi l'art. 11 della Costituzione, Europa resta fuori dalle avventure militari aggressive e di offesa agli altri popoli. Il terrorismo non si supera con la guerra, gli squilibri con la guerra si aggravano, l'imbarbarimento delle relazioni tra stati popoli culture religioni generi e persone è insieme causa e conseguenza della guerra. Una politica attiva di pace è necessaria» (dal notiziario Femmis, 26/10/2002)

 

Da “Il paese delle donne”

Di seguito uno stralcio di una delle testimonianze pubblicate dal “Il paese delle donne” e scritte dalle Donne in Nero che hanno contribuito con diversi scritti ad approfondire la riflessione delle donne italiane sulla guerra e il terrorismo.

Giuliana Sgrena: «L’immagine di Saddam Hussein si è sostituita a quella un po’ sbiadita di Osama bin Laden in testa alla lista dei nemici più pericolosi degli Stati uniti. Del resto la popolarità del presidente statunitense George W. Bush sale o scende in rapporto alla mobilitazione bellica. L’unica anche a giustificare l’ingente bilancio della difesa degli Stati uniti (530 miliardi di dollari).

 

Alla campagna antiterrorismo, che aveva mobilitato intorno alla Casa bianca in lutto per l’attentato alle torri di New York, la maggior parte dei paesi del pianeta, Bush lancia ora unilateralmente la “guerra preventiva” (secondo la nuova strategia militare che ha sostituito quella “deterrente” dei tempi della guerra fredda) contro l’Iraq (…)»

 

Da Venezia un gesto per la pace

In quattrocento si sono sdraiate nella più famosa piazza di Venezia per protestare contro le guerre e in particolare contro le minacce di guerra all’Iraq. È successo domenica sei ottobre a piazza San Marco: giovani, non più giovani, volti noti e sconosciuti, di fedi e provenienze diverse. Tutte sdraiate per formare le parole Pace, Salam, Peace, Shalom. L'iniziativa, indetta dal Coordinamento di donne "Facciamo la pace", ha ricevuto l'adesione di 22 associazioni e gruppi.

 

Milano: in preparazione del Forum sociale europeo
L
a Marcia Mondiale delle donne ha riunito a Milano, domenica 6 ottobre una cinquantina di membri dell'organizzazione e di altri gruppi da diverse parti d'Italia.
"Senza se e senza ma" il NO delle pacifiste italiane alla guerra contro l'Iraq. Un no che deve essere esplicito e forte anche al Social Forum di Firenze fino alla costruzione di un movimento internazionale contro la guerra.
« "Sarà questo - è stato sottolineato da una esponente del movimento Donne in nero - il momento ideale e non c'è nessuno che meglio di noi e piu' di noi puo' mettere su questa campagna. Noi donne abbiamo una capacità di entrare, di tessere relazioni, di comunicare. Il compito più grosso delle donne è quello capillare, di costruire una rete di rapporti diretti, con tolleranza e decisione».
"Fuori la guerra dalla storia e fuori l'Europa dalla guerra", che l'Europa si stacchi dagli USA, ciò che fa paura è che la guerra oggi fa parte della sopravvivenza degli USA e degli altri paesi in questa fase di neoliberalismo, la guerra è entrata nella dinamica logica inerente allo sviluppo… Questi alcuni dei temi approfonditi e in dibattito con cui le donne della Marcia dicono un NO cosciente e motivato alla guerra contro l'Iraq e a tutte le guerre.

Alcuni siti sulla pace:

Organizzazione americana Feminist majority foundation

http://www.feminist.org/

 

Organizzazione americana Now

http://www.now.org/

 

Campagna internazionale Global women’s strike

http://womenstrike8m.server101.com/

(Inglese)

 

Asianwomenonline.com

http://www.asianwomenonline.com/

 

Donne sotto la legge islamica

http://www.wluml.org/english/new.htm

 

lega internazionale delle donne per la pace e la libertà

http://www.peacewomen.org/

 

Rawa associazione rivoluzionaria delle donne afghane

http://rawasongs.fancymarketing.net/index.html

 

Il Paese delle donne

http://www.womenews.net/

 

Rivista Marea

http://www.marea.it/marea/


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