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 11 settembre 2001-2002: celebrazione o commemorazione?

 

Valerio Dalle Grave


Il titolo  sembra un gioco di parole, e forse lo è.  Resta comunque il fatto che , almeno da quanto si è visto alla televisione e letto sulla stampa, l’enfatizzazione celebrativa (o commemorativa) è stata grandiosa, spettacolare persino, oserei dire quasi irrispettosa delle povere vittime di quella immane tragedia, sia negli USA, sia in Italia, sia nel resto del mondo occidentale o legato all’occidente.

In alcuni paesi Islamici, le manifestazioni sono state di segno opposto, ma l’enfasi sembrava di uguale portata.

I Mass-media hanno preparato per tempo il terreno, creando una sorta di psicologia dell’attesa, con titoli altisonanti e insinuanti nuovi pericoli, rischi costanti, imminenti attentati, possibili nuove catastrofi.

Tutti, nessuno escluso, hanno fatto da cassa di risonanza ai proclami di qualche ministro e del Capo del Governo che, con toni più o meno  allarmati, invitavano  i cittadini alla costante vigilanza, al fine di scongiurare eventuali attentati.

Dagli Stati Uniti ci sono arrivate notizie e immagini che mostravano le manifestazioni di popolo; in special modo da New-York, dove, per l’occasione, sono stati scanditi in un silenzio tombale e alla presenza delle migliaia di persone presenti, i nomi delle vittime del terribile attentato dell’11 settembre 2001.

Il cerimoniale ufficiale è stato perfetto, i discorsi appropriati per l’occasione, i visi dei personaggi “che contano” erano seri, compunti, quasi commossi.

Insomma, si è avuta l’impressione (da comuni cittadini spettatori) che i “grandi della terra” presenti nei  vari luoghi, dove il popolo era riunito per commemorare i propri congiunti, amici e conoscenti, fossero veramente partecipi del dolore (vero) di tanta gente semplice duramente colpita dalla follia omicida dei terroristi.

Quello che, a mio modo di vedere,  stonava e stona tuttora in tutta la spettacolarizzazione del fatto doloroso, è una sorta di falso ideologico presente prima, durante, e dopo, la celebrazione della tragica e fatale data. Insomma, più che una commemorazione mi è parsa  una celebrazione.

In poche parole, il falso sta nel partecipare a compiangere i morti, vittime innocenti di un atto di violenza e, allo stesso tempo, nel pensare come mettere a punto una nuova recrudescenza vendicativa dello stesso tenore violento, ossia nel preparare una nuova guerra.

E’ quanto stanno facendo alcuni “signori” capeggiati dal Presidente Americano Bush, dal primo ministro inglese Blair e, purtroppo (e non si capisce in quale logica), dal nostro capo del Governo Berlusconi.

Certo, i pretesti per scatenare un nuovo conflitto non mancano e se mancano si inventano. Ma, agli occhi dei più, sono e restano solo pretesti; e i pretesti, si sa, non convincono più  nessuno.

Hanno voluto fare la guerra in Afganistan per eliminare i Talebani e per prendere Bin Laden, autore degli attentati alle torri gemelle di  New-York (ci hanno detto); veniamo poi a sapere che Bin Laden è fuggito in moto (roba da ridere) e che i Talebani si sono rifugiati in Pakistan. Essendo il Pakistan, però, alleato degli Americani, i Talebani rifugiatisi colà stanno tranquilli e al sicuro.

Tranne poche voci libere, nessuno dei potenti ha spiegato, invece, che il dominio sull’Afganistan  è essenzialmente fondato sulla necessità di avere una via protetta e breve per il passaggio del petrolio dai ricchi giacimenti del Turkmenistan al Golfo Persico; come nessuno ha spiegato che le vere ragioni dell’alleanza tra Bush e Putin, per la cosidetta guerra al terrorismo, nasconde sempre interessi legati al  trasporto del petrolio (in questo caso dal mar Caspio al Mar Nero attraverso il territorio della  Cecenia).

Stando così le cose, c’è da chiedersi per quale motivo i soldati Italiani si trovano in Afganistan, quali interessi dobbiamo difendere in quel Paese? Dal momento che non è un intervento umanitario, perché dobbiamo assumerci l’onere (il costo) di quelle operazioni? IL discorso a questo punto si fa lungo, complicato e avrebbe bisogno di altri spazi.

Ma una domanda ancora è d’obbligo. Perché il nostro presidente del Consiglio Berlusconi, sempre prolisso di spiegazioni e di promesse,  non ha mai spiegato agli Italiani dove va a reperire le centinaia di miliardi di  euro per coprire i costi della avventura Afgana? Bella domanda, dirà qualcuno.

La risposta a sorpresa più eclatante la troveremo nella prossima finanziaria, con i tagli, già annunciati, sui finanziamenti alla scuola, alla sanità e alla assistenza. I soldi, cioè, si reperiranno sottraendoli alla spesa sociale.

In buona sostanza , sia in America, che in Italia (e nel resto del mondo occidentale), chi paga, per le politiche di potenza e di dominio dei propri governanti, sono sempre i meno abbienti  e i poveri.

E c’è di più.  Una tendenza, fortemente in atto negli Stati Uniti, che sta prendendo piede anche in Europa, è quella di “attaccare” il sistema  della previdenza sociale (le pensioni).

Perché tale attacco? si chiede un noto professore  del famoso MIT (Massachussets Institute of Tecnology) Americano, Noam Chomski. Perché, dice, “la sicurezza sociale è basata su principi etici di solidarietà; e tutto quanto si riferisce a quei princìpi deve essere distrutto. Perché nessuno deve occuparsi dell’altro. Perché la preoccupazione verso l’altro è oggi la più profonda e rivoluzionaria  idea che da fastidio al loro sistema e quindi deve essere eliminata”.

In Italia non siamo immuni da questi attacchi e da questi rischi. I tentativi sono in atto da tempo e la vigilanza dovrebbe essere più forte e più attenta, perché i messaggi che vengono diffusi ad arte (dalla stampa, radio e televisione) sono sottili,  sinuosi,  accattivanti e spesso fanno presa proprio tra i soggetti più esposti e indifesi.

La diffusione dell’individualismo, dell’edonismo, della eccessiva cura ”dell’apparire”; il dilagante disinteresse per la cosa pubblica, per la politica, per la fede religiosa; l’eccessiva attenzione al guadagno immediato, ai meccanismi più o meno corretti della competitività,  eccetera, sono atteggiamenti che di fatto negano il principio etico e fondamentale della solidarietà.

La distruzione dei principi etici, e tra questi la solidarietà, apre la porta all’imbarbarimento dei  rapporti, tra le persone, i popoli, le razze; tra  le nazioni e le diverse culture.

E allora, la violenza, le rappresaglie e la  guerra, prima che di  prevenzione e di difesa, diventano strumenti di imposizione delle proprie regole e di repressione del dissenso.

Prima di concludere desidero fare ancora una breve considerazione e porre un paio di  domande.

Se è vero (e non ho dubbi in merito) che Europa, Stati Uniti e Giappone, pur rappresentando solo il 20% dell’umanità,   posseggono l’85% della ricchezza mondiale, vuol dire che questi Paesi hanno costruito un sistema politico – economico che emargina  e impoverisce l’80% della popolazione mondiale. Siccome Domine Dio non può aver costruito un ordine così sghembo e ingiusto, significa che tutto ciò è opera  dell’uomo. Anzi di pochi uomini senza scrupoli al di sopra e al di fuori di ogni regola comune e condivisa.

Domanda: il terrorismo vero da chi è esercitato? Forse dagli esclusi, dagli emarginati, denutriti e dagli ammalati cronici?  Ciascuno risponda come meglio crede.

Infine noi, se non ci sentiamo responsabili di tanta ingiustizia e desideriamo prendere le distanze da chi impunemente schiavizza l’umanità,  a cosa siamo disposti di rinunciare per instaurare nel mondo un sistema più equo,  dove regni sovrana la giustizia, la concordia e la pace?

Come in altre occasioni, anche ora ribadisco la mia profonda esecrazione per ogni atto di violenza  e di terrorismo, ma la mia coscienza mi impedisce di aderire o di giustificare iniziative che prevedano il ricorso alla guerra per risolvere un problema diversamente risolvibile.

Sono sicuro di essere in buona compagnia con  tantissimi cittadini comuni, personaggi della cultura, della chiesa, della  scienza, delle arti, dello sport; uomini politici e delle istituzioni  democratiche che condividono questa idea, ed è proprio con questa convinzione che grido il mio   NO alla guerra. Io, che in alcune occasioni ho conosciuto vittime, e famigliari delle medesime, per atti di terrorismo, non posso associarmi a plateali occasioni celebrative, mentre mi inchino alla loro memoria e partecipo solidale al dolore dei loro superstiti in silenziosa commemorazione.

 

                                                      Valerio Dalle Grave      Vdalleg@tin.it


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