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UN’IDEA GRANDIOSA(PLATEA DELL’UMANITA’), RISTRETTA AI “SOLITI” POTENTI, ANCHE NELLA 49.MA ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE DI VENEZIA(10 GIUGNO- 4 NOVEMBRE 2001).

di Diana Barrow’s  & M.D.Marotta.

Passato l’entusiasmo della Vernice, dove c’è veramente un incontro amichevole sincero, brillante, affettuoso, specialistico tra gli artisti che espongono alla Biennale d'Arte diretta da Harald Szeemann, il critico che ha ricevuto più critiche di tutti i suoi predecessori, per aver- si dice, si mormora ed è scritto anche nel catalogo ufficiale della Mostra- dato spazio alla cerchia dei suoi amici, e gli amatori del bello che, come folli si aggirano nei Padiglioni nazionali e nei luoghi espositivi decentrati( a volte, più interessanti) per scoprire le novità e quanto può unire nell’arte anche oggi che siamo sommersi dall’angoscia della globalizzazione ad ogni costo( però abbiamo scoperto che molti, specie i paesi europei, tra cui i Paesi Bassi, l’Olanda… se ne infischiano delle regole della Biennale che pretende- giustamente- una sintetica presentazione in italiano delle opere esposte, usando esclusivamente la lingua inglese: non sarà che finiremo presto, vista l’ignavia dei nostri politici tra le lingue da buttare?), che cosa veramente merita di essere ammirata, studiata, proposta, anche per il domani?

Di getto, diremmo che vi sono ben poche cose che resteranno nella memoria dei visitatori, oltre l’impatto emotivo immediato creato da sapienti effetti speciali(ci è parso, spesso, di essere a cinema).

A distanza , si può dire che è stata ricostruita, in questa Biennale d’Arte, la Torre di Babele, più che un qualcosa di unificante dell’umanità.

Un po’ come succede nei parchi inglesi, dove chi vuole si ferma a parlare, a proporre una sua idea ai volenterosi che lo ascoltano. Tanta roba, bella roba, brutta roba.

E’ anche difficile orientarsi, perché, a volte, le cose più belle si incontrano in luoghi lontani dai Giardini.

Per esempio, a Treviso, dove è stato collocato il Padiglione Latino- americano(Villa Letizia), dove espongono 14 Paesi che hanno privilegiato tematiche etniche, così colorate, semplici, artistiche, coinvolgenti, da farti venire le lacrime giù come ruscelli, per la loro capacità di smuoverti dal di dentro.

Naturalmente, gli artisti latino- americani hanno protestato per questo decentramento e ritengono che tale scelta sia inaccettabile e discriminatoria nei loro confronti.

In un certo senso, sono “discriminatorie” le tecniche usate per pubblicizzare gli artisti dei vari Padiglioni nazionali, reclamizzati non in quanto al valore artistico, ma commerciale.

Ahimè, l’arte si vende al “mercato”, cioè al maggior offerente che amplifica i meriti e le qualità dell’artista in causa. Strano, però, sono- in genere- tedeschi, canadesi, inglesi, statunitensi…tutto regolare, nella logica della globalizzazione: chi più ha, più avrà.

Però, per quanto il global abbia modificato il nostro modo di pensare, per fortuna, riusciamo ancora ad individuare qualcosa che vale, nel rumore assordante di video- installazioni, di cui ben poca cosa resterà domani.

Un  particolare  che stupisca e, soprattutto, consoli, nel riflettere sull’ingegno dell’umanità che sta muovendosi su strade assolutamente diverse e in armonia con l’inarrestabile sviluppo delle tecnologie.

Ti può, soprattutto, meravigliarti, di imbatterti, faccia a faccia, nel Padiglione britannico, con Gesù Cristo. Posto al centro della sala, ti viene quasi un colpo a posare gli occhi su “Ecce Homo” di Mark Wallinger, un semplice stampo in un composto di marmo bianco, che restituisce un’immagine familiare dell’iconografia cristiana. La figura del Cristo è identificabile nella corona di spine e nelle mani legate. Poiché il calco è stato preso da un uomo vivente, risulta, per la scala umana, vulnerabile e reticente, fortemente impressionante.

L’opera fu installata, per la prima volta nel 1999, su di un plinto(capitello) vuoto di Trafalgar Square a Londra, dove si poneva in forte contrasto con gli edifici pubblici circostanti e la statuaria magniloquente della piazza. L’artista da circa 15 anni, sta approfondendo la ricerca fondamentale della percezione dei simboli, connessi indissolubilmente al tessuto culturale, che per lui è il credere stesso.

Per il giovane Mark Wallinger, infatti, la figura del Cristo, è un simbolo di spiritualità e virtù, per tutti i tempi

Invece nel Padiglione egiziano, vi è un trionfo di colori, di vita, di musica, di storia, d’ibridazioni culturali del tempo della dinastia dei Fatimidi. Si ha voglia di ballare.

Quando la persona è felice, ci dice l’autore, Ramzi Mostafà, professore all’Accademia di Belle Arti del Cairo, esprime questo sentimento anche muovendosi al ritmo della danza. Seduti all’ombra di straordinari obelischi, pazientemente costruiti e dipinti da lui, ci siamo avventurati in una piacevole conversazione(naturalmente sul dente che duole :la posizione della donna nell’islam). Il gentile Mostafà, che è ritenuto un “giovane” dell’avanguardia artistica egiziana(ha 75 anni) smentisce categoricamente che l’islam sia repressivo nei confronti della donna che in Egitto, specie nelle grandi città,  svolge esattamente tutti i mestieri dell’uomo. Pensa e crede che l’arte possa dare una mano per la mondializzazione che ritiene positiva e che ingloberà anche le culture etniche più restie al cambiamento perché, come ci ha detto, l’umanità è stata creata da Dio, con Adamo ed Eva, assolutamente maschio e femmina (e i bisex, gli omosessuali, ? Ci sono sempre stati, ma non devono per niente essere orgogliosi d’essere tali, dice: e se lo sentissero?) per la generazione, anche in futuro, della famiglia umana, che sarà sempre più felice ed unita, essendo questa la volontà di Allah. Mah….

Sono belli i suoi lavori, e le sue antiche divinità, dipinte e scolpite con tanto sorriso, ma la più straordinaria pittura, di una delicatezza e tenerezza commovente, è “La Madonna in viaggio verso l’Egitto”.

Pare proprio che il suo popolo ha  per Maria una profonda devozione e i cristiani lì vivono in concordia la loro fede. Convintissimo com’è che domani, si ricostituirà un’umanità perfetta, essendo amata da Allah, chi ha il coraggio di contraddirlo?

Scappando dalla pazza folla, che corre e corre verso il Padiglione canadese e tedesco, dove, nel primo, c’è una specie di cinema riservato per soli 15 spettatori e nel secondo un “appartamento” che si compone e si scompone, a seconda da dove ti situi, ti ripari nel Padiglione del Venezuela, dove c’è Shapori,  che è il nome dello sciamano yanomami, a cui l’artista Victor Hugo Irazabel, ha dedicato il complesso delle sue opere, tra cui la maraca cerimoniale, comune in quasi tutti i riti del trance d’invocazione. Questo è un prezioso oggetto della cultura materiale delle etnie Yanomamis, yekuanas, piaroas, arawacos che vivono lungo i fiumi dell’Amazzonia venezuelana. Ve ne sono esposti a centinaia e tutti con il manico di legno lavorato con finissimi particolari figurativi.

Shapori è un intermediario tra il mondo naturale panteista e i suoi selvatici abitanti che hanno il diritto a determinare il loro destino.

Ma Shapori, secondo l’artista, è uno stato di coscienza, derivato dalla diversità dell’ecosistema che lo ha generato.

L’Amazzonia e l’Orinoquia venezuelane, non sono né l’inferno verde, né il giardino dell’Eden, è una biosfera di conoscenza e Irazabel è uno dei suoi più autentici interpreti.

Per farlo, è sceso fino allo stesso gesto d’origine, dove coincidono i primi uomini e gli dei della creazione.

Il serpente delle cosmogonie planetarie, unifica con il suo movimento perpetuo tutta la proposta e rende lo spettatore partecipe di quel mondo, le “verdi dimore” descritte con tanto acume da W.H.Hudson (1904) che formano un grande ecosistema, se non intatto, ancora ben conservato, con le sue dosi equilibrate di fotosintesi, calore ed umidità.

L’Alto Orinoco, in cui vivono le varie etnie su nominate, è uno straordinario contenitore di biodiversità, è il nuovo Dorado del Terzo Millennio, in un mondo avido di nuovi sapori, colori, fragranze.

Il Venezuela, è uno dei paesi con il più alto endemismo (presenza limitata di specie animali o vegetali), diventato ora paradiso di biodiversità che bisogna difendere a tutti i costi, magari sostenendo le proteste dei Nuovi Ribelli contro  il G8, che ben rappresenta le  rapaci  multinazionali, predatrici di quanto ancora c’è di bello e buono sulla terra.

E, forse, una visita alla 49.ma Biennale d’arte, servirà per rafforzare certi valori, per far capire cosa voglia dire globalizzazione, mondializzazione.

Pure nel mondo dell’arte e… attenti a non pestare le più di venti famiglie di tartarughe dorate che accompagnano, silenziosamente, il visitatore, lungo l’arduo percorso artistico di questa caotica, frastornante, stimolante, affollata 49.ma Mostra Internazionale d’Arte.

A  Venezia, naturalmente!

Però se avrete il coraggio di arrivare fino a Treviso(con il treno è facilissimo), visitate pure i pittori naif dell’America latina, dove predominante c’è un rito, il vudù che è l’espressione più genuina di un incontro, anche violento, di tre civiltà: europea, africana, amerinda, irriducibilmente mescolate, senza che si possa distinguere nettamente la parte rispettiva che ognuna di esse occupa in noi.

Note tecniche

49. Esposizione Internazionale d’Arte

Platea dell’umanità

Venezia, Giardini- Arsenale (Corderie, Artiglierie, Gaggiandre, Isolotto, Tese delle Vergini). Partecipazioni nazionali.

Apertura al pubblico: dal 10 giugno al 4 novembre 2001 (chiuso il lunedì).

Sito web: www.labiennale.org