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Vieni con noi in Palestina?
La politica dei kamikaze mi terrorizza. Quella delle esecuzioni sommarie, anche. Piango due tragedie, l'unica strada è la fine dell'occupazione israeliana. Risposta a Gad Lerner

Luisa Morgantini



Gad, cari tutte e tutti, ho pianto di fronte al soldato israeliano che ci stava impedendo di soccorrere un ferito palestinese. Si era gettato dalla finestra di una casa che i soldati israeliani stavano bombardando dopo che all'interno vi era stata una sparatoria tra una pattuglia di soldati israeliani e due palestinesi. Ho pianto per Ahmed che, disteso per terra ci chiamava muovendo la mano, ho pianto per la mia impotenza, per la perdita di umanità del soldato israeliano. Gliel'ho detto: «Non piango per paura del tuo fucile, ma per te che sei giovane», piango per Hetty Hillesum che anche nel campo dove era stata rinchiusa voleva essere "il cuore pensante della baracca", piango perché mi impedisci di soccorrere un uomo che sta morendo e che tu sai non stava sparando, piango perché ti ho visto spingere a terra e inginocchiare con le mani contro il muro, uomini della polizia palestinese che non ti avevano sparato, li hai fatti alzare uno ad uno, costretti a denudarsi per poi bendari e legargli le mani. Erano usciti tutti a mani alzate dal portone di casa che avevi buttato giù con la forza, insieme a loro c'era un vecchio che ho visto per anni a Ramallah, ci salutavamo sempre, kiffek mi diceva, mapsuta gli rispondevo. Quando prendendolo per il braccio volevate che si rialzasse non poteva farlo, forse anche lui come me soffre di sciatica. Poi nella casa avete trovato le armi e scarponi e vestiti della polizia. Sei venuto da me e mi hai detto "hai visto, pezzo di m... tu che ci chiedevi di essere umani, questi avevano le armi e sono stati così codardi che non hanno neanche sparato". C'erano anche giornalisti con noi, abbiamo visto tutti che erano armi in dotazione della polizia palestinese, legali quindi. Piango perché mentre cercavamo di impedire che si bombardasse la casa di fianco a quella della sparatoria, dalla finestra di un'altra casa un giovane si era sporto per chiedere se avevamo del pane e delle sigarette. Piango perché Mohammed Iska'fi, un medico, ferito più volte, quando, confesso esitando, gli ho detto che dovevamo recuperare un ferito israeliano, non ha esitato un attimo, andiamo, è una persona e io sono medico. Ci siamo precipitati nella strada, fermati dai carri armati e dal tuo fucile. Non era il soldato israeliano, era già stato portato via da voi, nella strada era rimasto Ahmed che quando siamo riusciti a mettere su una rudimentale barella ce lo avete strappato dalle mani e portato con voi. Vi ho seguiti , ho mentito, sono una diplomatica, non potete fare questo. Un ufficiale mi ha detto, non temere, abbiamo i medici, lo porteremo via noi, tu vattene.

Caro Gad, normali scene di guerra, dolorosa necessità dell'intervento militare per salvaguardare il futuro dello stato israeliano minacciato dal fenomeno delle bombe umane che come dici tu in 15 o 20 anni potrebbero distruggerlo. Penso, insieme a tanti israeliani con i quali da anni faccio un percorso per la ricerca di una pace giusta che riconosca il diritto dell'uno e dell'altro ad un proprio stato, che, per salvare lo Stato Israeliano, l'unica strada sia la fine dell' occupazione militare israeliana. Tu dici che la crescita delle colonie, la confisca delle terre, i coprifuochi, i palestinesi prigionieri nei loro villaggi, le esecuzioni sommarie, sono errori e li tratti come se fossero piccoli incidenti di percorso. Non è così Gad, sono pratiche politiche precise, dichiarate esplicitamente da Sharon nel suo programma di governo ma anche da partiti della coalizione di governo che rivendicano il"trasferimento", cioè deportazione, della popolazione palestinese. La rioccupazione del territorio e tutte le distruzioni, manifesta la volontà di annessione coloniale del territorio. Daniel Amit, israeliano, nella sua lettera al manifesto spiegava molto meglio di me la situazione.

E' vero, sono terrorizzata dalla politica dei kamikaze, soprattutto da quando non sono più solo di Jihad o Hamas, organizzazioni che considero essendo donna, lesive dei miei diritti oltre che distruttive per tutti. Ho sempre detto pubblicamente, caro Gad, anche in Palestina, le mie opinioni, non solo con i miei amici intellettuali ma anche nei campi profughi dove la disperazione, la mancanza di libertà sono le più grandi. Ho conosciuto Wafa, che a Gerusalemme si è fatta saltare, uccidendo altre persone. L'ho incontrata nell'ospedale di Ramallah dove era stata ricoverata la sua amica Ittihad, che aveva perso un occhio per una pallottola di gomma (con anima d'acciaio), mentre stava comprando verdura al campo. Non avrei mai pensato che Wafa avrebbe potuto trasformarsi in omicida/suicida. Ittihad non si dà pace. Capisco la paura degli israeliani, la mia non è certamente così profonda, non è legata alla persecuzione o alla Shoa, è solo temporale. Però ho paura quando vado a casa di Lea a Gerusalemme Ovest e prendo l'autobus 18 o quando insieme a Peace Now, le Donne in nero o Gush Shalom, manifestiamo di fronte alla casa di Sharon, dove lì accanto al Moment cafè è scoppiata una bomba. Ma prendo forza dall'organizzazione dei familiari israeliani e palestinesi che hanno avuto vittime che insieme dicono che l'occupazione militare uccide tutte e tutti. Prendo forza anche da un mio amico palestinese, Jamal Zaquot, deportato nella prima Intifada, sul corpo i segni delle torture che dice : «Non sopporto che vi siano attacchi sui civili in Israele, anche se nei territori palestinesi i bombardamenti, gli attacchi militari, uccidono civili, non si può rispondere con la logica del dente per dente, non si può pensare loro ci uccidono, noi abbiamo paura tutti i giorni, i nostri bambini, i nostri giovani muoiono ogni giorno, anche loro devono avere paura, anche loro devono morire, sono contrario politicamente e moralmente non solo perché si uccidono civili ma perché è la nostra umanità che si perde, è il futuro del popolo palestinese che non può formarsi con la cultura della morte e della vendetta, dobbiamo essere in grado di non sviluppare la sindrome dell'unica vittima e di non pensare che siccome noi siamo oppressi e umiliati possiamo usare con chi ci opprime e umilia ogni arma".

Sono piena di dolore per la doppia tragedia, vorrei che tutti fossimo laggiù insieme a quei palestinesi e israeliani, che continuano a credere che la migliore sicurezza per ogni popolo, per ogni individuo siano il riconoscimento reciproco del diritto di esistere e di vivere nella propria terra in democrazia e libertà. Shulamit Aloni, israeliana che so rispetti, dichiara ogni giorno: «Ho combattuto nell'Haganah per avere uno stato ebraico in Palestina, mi ritrovo con uno stato colonialista. Non ci sto, ho vergogna di questo esercito, di questi nostri governi che in nome della sicurezza distruggono ogni nostro valore umano». Come nei vecchi tempi continuo a credere che valga la pena vivere per un mondo "dove ciascuno sia d'aiuto all'altro" e per assumermi insieme a tanti e tante le responsabilità che l'Europa e la Comunità Internazionale, compresi i paesi arabi, che dovrebbero morirsi di vergogna per la loro doppiezza non si assumono, non voglio la vittoria di nessuno, ma una pace con giustizia. Gad, verresti con noi in Israele e Palestina?


Tratto da "Il Manifesto" 7 aprile 2002

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