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Dibattito sul crocefisso nelle aule scolastiche e sulla presenza dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole.


È con un certo disagio che assistiamo alla ripresa del dibattito sul
crocefisso nelle aule scolastiche e sulla presenza dell'insegnamento della
religione cattolica nelle scuole. Sono alcuni anni che ci chiediamo se la
riscoperta delle radici cristiane dell'Europa e di quelle cattoliche
dell'Italia, da parte di forze politiche fino a ieri indifferenti alle
questioni religiose, non sia strumentale, tesa cioè a sostenere l unità
religiosa del paese a tutela della sua unità politica, a rilanciare l'idea
della chiesa di stato secondo la formula classica del cuius regio eius
religio.
In questa direzione si muovono certamente coloro che, come Bossi e Biffi,
ritengano si debbano porre seri ostacoli all'immigrazione proveniente da
paesi islamici per favorire quella di origine cristiana. Ma pericolosamente
segnata da venature integralistiche è anche qualsiasi richiesta di
salvaguardia e di tutela dell'identità cattolica italiana, proveniente da
settori dell'episcopato o dai partiti politici nati dalla diaspora
democristiana, tanto sul piano della legislazione familiare e sanitaria,
quanto su quello della riforma scolastica.
Non ci nascondiamo che la questione è delicata e va trattata con attenzione,
diversificando caso per caso e tenendo conto del comune sentire dei
cittadini, In uno stato laico, che riconosce la libertà di religione, ma che
è al tempo stesso una democrazia elettiva in cui i governi e le leggi sono
espressioni della maggioranza, un certo ambito di discrezionalità nelle
norme che regolano le forme concrete di tale laicità è comprensibile.
Così, mentre il finanziamento pubblico delle scuole private, in larga parte
confessionali, viene generalmente sentito come una ferita inferta alla
Costituzione, in quanto la maggioranza dei cittadini tale lo reputa, assai
diversa è la situazione per la presenza nelle aule del crocefisso. In questo
caso non sembra che tale segno di indubbia confessionalità sia ritenuto dai
più come negazione della libertà religiosa propria e altrui. Certo molti
atei agnostici islamici e anche alcuni cristiani denunciano, con ragioni
diverse, l'incongruità di questa presenza in edifici e in aule dove la fede
non trova ragioni di pubblica e comune confessione. Ma tant'è: il togliere
il crocefisso dalle aule e dagli uffici statali è da altri considerato,
sbagliando, visto che tale uso risale ad una legge fascista del '27,
un'offesa alla propria tradizione. Per questo, se riteniamo insensato
imbastire crociate per mantenerlo, ci pare controproducente fare una
battaglia per eliminarlo. Nella misura in cui si rivelerà sempre di più un
uso residuale e privo di significato religioso, verrà abbandonato.
Ancora diversa la questione dell'insegnamento della religione cattolica
nella scuola con professori nominati dai vescovi e pagati dallo stato. Come
si sa lo stabilisce il Concordato. Il che, mentre ci dice che tutto ciò non
può essere modificato se non abolendo o rivedendo il Concordato stesso, ci
dice anche che ogni suo ulteriore consolidamento va oltre il Concordato
stesso, orientandolo ad essere non un trattato che regola il rapporto tra
realtà diverse e distinte, ma un patto di reciproca assimilazione.
È la direzione verso cui si muove la normativa proposta dal neo-ministro
della pubblica istruzione, allorché si prefigge di trasformare la nomina
annuale degli insegnanti di religione in assunzione in ruolo, con la
garanzia di restare nella scuola anche una volta perso il placet del vescovo
e quindi il posto di docente di religione. In tal modo i vescovi ottengono
un doppio vantaggio: si vedono autorizzati a nominare professori di ruolo
nella. scuola pubblica, senza rispettare graduatorie e concorsi, e mettono
definitivamente a tacere coloro che volevano un insegnamento non
confessionale di cultura biblica o di storia delle religioni.
Da parte sua lo stato riguadagna una progressiva riconfessionalizzazione
della scuola e una sempre più marcata statalizzazione della chiesa.


Da "il foglio" di Torino che - diretto da Enrico Peyretti - si definisce
"mensile di alcuni cristiani torinesi - Editoriale de "il foglio" n. 287 di
dicembre 2001. (e-mail: antonello.ronca@libero.it)

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