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CARI LAICI SIETE DEBOLI

di Pietro Scoppola


Nelle ultime settimane un dibattito alto sul senso della vita, "fra fede e
ragione" (per riprendere il titolo di un articolo denso e tormentato di
Eugenio Scalfari su queste pagine), si è intrecciato con una "controffensiva
laica" di fronte alla minaccia di un risorgente integralismo cattolico.
Il dialogo fra credenti e non credenti si è riaperto da tempo (penso al
volumetto di qualche mese fa di Arrigo Levi, Dialoghi sulla fede) in termini
nuovi e positivi. La condizione perché esso si sviluppi è che da una parte e
dall'altra non ci si senta e non ci si presenti come possessori, ma come
ricercatori, di verità. Anche il credente è sempre in ricerca: la fede è per
lui dono e ricerca insieme, il dubbio è la condizione della ricerca. Ha
scritto Ernesto Buonaiuti che di fronte alla verità siamo tutti "eterni
accattoni".
Cito Buonaiuti per ricordare, per inciso, che nel clima dell'anno giubilare,
in cui la Chiesa ha solennemente chiesto perdono, per bocca del Papa, per le
infedeltà al Vangelo, sarebbe stato bello un ripensamento critico e
penitenziale sulle tante vittime dell'antimodernismo di inizio secolo.
Un dialogo dunque fecondo e aperto a suggestivi sviluppi.
La polemica sull'integralismo cattolico ha assunto invece toni diversi, più
aspri, e rischia di lacerare quel che è rimasto di tessuto eticocivile nel
nostro paese. Non sarò certo io a negare i segni di un ritorno a posizioni
integralistiche che investono in particolare alcuni settori del
cattolicesimo italiano. Ma discuto il modo in cui contrastarle: ritengo che
la risposta laica sia spesso culturamente debole e politicamente
controproducente.
Mi sembra sbagliato cogliere ed esasperare i segni di un rinascente
integralismo ignorando i segni opposti. Nel recente incontro di Lisbona
promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, dopo il gelo determinato dalla
beatificazione di Pio IX congiuntamente a quella di Giovanni XXIII, è stato
riproposto con forza non solo il dialogo ecumenico fra le chiese cristiane
ma un fecondo rapporto con il mondo ebraico. Un autorevole cardinale ha
drasticamente ridimensionato il noto documento di Ratzinger che tante
polemiche ha suscitato.
Il rischio, in una parola, è quello di restare prigionieri polemicamente di
un integralismo, che dopo il Concilio vaticano II non ha più legittime
radici nel cattolicesimo.
Mi sembra francamente eccessivo giudicare - come fa Massimo Salvadori in un
articolo su Repubblica del 22 settembre - le sciocche sortite
antirisorgimentali dei giovani di C.L. riuniti a Rimini per una "ultima
ondata di revisionismo storico". Si tratta piuttosto di una trovata
destinata a far notizia sull'incontro, di una posizione che non ha radici e
che non alcun seguito fra i cattolici e sulla quale non vale la pena di
aprire alcuna discussione culturale. Il "piissimo Sturzo", non clericale,
che giustamente Salvadori rimpiange al termine del suo articolo - ecco un
altro motivo di pentimento per la Chiesa che all'esilio lo spinse - ha
segnato in maniera irreversibile la più matura cultura di ispirazione
cattolica.
È più che condivisibile l'appello in difesa del Risorgimento e della
Costituzione repubblicana che Galante Garrone lancia dalle colonne della
Stampa del 27 settembre: ma i giovani di C.L. sono ben poca cosa nella
schiera di chi ha contribuito e contribuisce al logoramento dei valori
fondanti del nostro vivere civile.
Ha ragione allora Sandro Viola quando invita a non dare eccessivo rilievo a
certe manifestazioni di cattolicesimo integralista. Ma ha meno ragione
quando si riferisce anche a manifestazioni come quella dei due milioni di
giovani convenuti a Roma per il giubileo: l'equivoco è quello di scambiare
una rinascita di spirito religioso di cui si avvertono i segni con una
minaccia alla laicità dello Stato. Al contrario forti esperienze religiose
rafforzano il tessuto etico del paese sulla base di una autentica laicità.
La laicità: ecco la parola magica e ambigua al centro della polemica.
Concordo con Paolo Flores d'Arcais quando, in polemica con il cardinal
Biffi, rifiuta l'idea che alla possibile minaccia dell'integralismo islamico
ai diritti civili, specialmente della donna, si possa far fronte
privilegiando, in contrasto con i medesimi diritti civili, gli immigrati di
fede cattolica. Ma non concordo con l'immagine di uno Stato portatore di una
sua ideologia laica fondata sul binomio "ragioneeresia".
Dovrebbe esser chiaro ormai che lo Stato non è laico perché portatore di una
sua ideologia, ma perché non ne porta e non ne impone alcuna. Vi è una
esemplare sentenza in questo senso della Corte costituzionae (la n. 203 del
1989) che ha affermato: "Il principio di laicità ... implica non
indifferenza dello Stato di fronte alle religioni, ma garanzia dello Stato
per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo
culturale e religioso"; e più avanti: "L'attitudine laica dello
Statocomunità, risponde non a postulati ideologizzati ed astratti di
estraneità, ostilità o confessione dello Statopersona o dei suoi gruppi
dirigenti, rispetto alla religione o a un particolare credo, ma si pone a
servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei
cittadini".
Ecco: una laicità così intesa, è la base per una controffensiva forte ed
efficace ad ogni spinta integralistica.
È evidente il rilievo politico del tema per un paese avviato ormai sulla
strada del bipolarismo.
Di fronte all'uso strumentale ed elettoralistico del voto cattolico che
caratterizza, non da ora, la destra italiana, una "controffensiva laica" è
controproducente. Né basta all'Ulivo il richiamo alla riserva di coscienza.
Non si può lasciare che elementi di diversità nel centrosinistra emergano
solo in Parlamento quando affronta temi di particolare rilevanza etica:
occorre che il confronto si sviluppi sul terreno culturale suo proprio sulla
base appunto di un corretto principio di laicità.

da La Repubblica 5 ottobre 2000

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