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Dov'è finita la santità laica?

Una tavola dei valori comuni che possa fare incontrare credenti e non credenti

di MASSIMO MARCOCCHI

 

La società attuale non è né adorante né blasfema nei confronti di Dio: ne

prescinde. L'ateo dell'Ottocento, che affermava che Dio non esiste e la cui
figura è tramandata dalla tradizione, dalla letteratura, o anche da qualche
ricordo che hanno i più vecchi di noi, è diventato raro. Il dimostrare che
Dio non è, o che Dio è, non interessa più. Oggi la società vive in
un'economia culturale "etsi Deus non daretur", come se Dio non esistesse.
L'uomo si dichiara adulto. Adulto significa che è diventato uomo senza
nessun'altra pretesa che quella di progettare il processo umanizzante della
storia. La nostra cultura ha reso insignificante la domanda stessa su Dio.
"Quaesivi et non inveni", diceva un grande giornalista italiano: ho cercato
e non ho trovato. Ma oggi la domanda su Dio, che rivela l'interesse
dell'uomo su di Lui, indipendentemente dalla risposta che verrà data, non si
formula più. Il vero ateismo accade quando per l'uomo non ha senso porre la
domanda, cioè interrogarsi su Dio. L'uomo non ha bisogno di Dio, nel senso
che Dio ha cessato di essere una necessità per lui.
Oggi la nostra società è pluralistica, in essa convivono varie visioni del
mondo, ma la società frammentata è qualcosa di più cangiante. In fondo, le
grandi visioni del mondo coagulavano, oggi il terreno è più mutevole, il
mare è più increspato; prevale una morale dell'utile e del provvisorio.
Tutto è decisione individuale. Non esiste una norma morale che dipenda
strettamente dalla verità.
Cos'è la verità? Non è solo la domanda dello scettico Pilato, ma anche
quella di Paolo Flores d'Arcais. La verità per lui è un concetto astratto,
inverificabile, che sfugge da tutte le parti come un'anguilla. Diamo pari
dignità alle etiche più diverse, afferma Flores d'Arcais, dato che nessuna
può pretendere di essere più vera delle altre. I valori e le norme morali
diventano punti di vista soggettivi. L'esistenza si frantuma in una
successione di esperienze effimere, senza disegno, senza direzione, senza
uscita. Giungiamo alle conseguenze estreme dell'individualismo libertario
che spinge a fare ciò che piace. Che ognuno faccia quello che gli pare, "cui
piace, ei lice". "È proibito proibire", era scritto sui muri della Sorbona
nel '68.
Gli spiriti pensosi, sia laici sia cattolici, hanno la consapevolezza della
gravità della situazione: rischiamo di finire in un vicolo cieco. Sono
sempre stato sostenitore di un incontro tra cattolici e laici, ho sempre
pensato che il laicismo intelligente e pensoso fosse per la coscienza
cattolica uno stimolo alla riflessione e penso che altrettanto i laici siano
consapevoli dei valori che il cristianesimo può dare. Una frattura tra laici
e cattolici pensosi sarebbe un danno grande per il nostro Paese.
Il laicismo è certo parola onnicomprensiva nella quale convivono molte
tipologie, anche se riconducibili a un denominatore comune: saggezza vuole
che si operi un discernimento, che non si faccia di ogni erba un fascio, che
si decifri la gamma delle situazioni. C'è il laicismo becero, e c'è il
laicismo pensoso di uno scrittore e di un filosofo che ammiro molto: Claudio
Magris e Norberto Bobbio. Chi sono i laici? Sono i non credenti? Forse
questa definizione è spicciativa. Il laico è l'uomo del dubbio, è l'uomo
della tolleranza, è l'uomo di una verità che si va continuamente facendo,
che non è radicata in visioni generali del mondo, che è sostanzialmente
antidogmatica.
Siano consentite, a questo proposito, alcune esemplificazioni. Eugenio
Scalfari, l'ex direttore di Repubblica, neo-illuminista, scrive: "Sono
convinto che dopo ci sia il niente. Quale allora il senso globale
dell'esserci? La consapevolezza della morte diventa il principio dei nostri
atti creativi. Sapere che c'è la morte spinge a valorizzare la vita".
Scalfari parla dell'Altro, con la "a" maiuscola. L'Altro, di cui parla
Scalfari, non è Dio, pare essere l'uomo o ciò che trascende l'io. È nel
rapporto con l'altro uomo che poniamo le domande sul senso e cerchiamo di
dare ad esse delle risposte. Dice Giuseppe Vacca, già direttore
dell'Istituto Gramsci: "Sono non credente, certamente non ateo". Giulio
Giorello, intervistato dal cardinale Tonini nella trasmissione televisiva
sui Dieci Comandamenti, quando gli viene chiesto: "Lei è ateo?", ha un
trasalimento. Non dice: "Sono ateo" (l'avrebbe detto un positivista della
fine Ottocento), ma dice in sostanza: "Non sono credente, certamente non
ateo".
Vacca e Giorello non escludono la plausibilità di Dio. Si può essere non
credenti ed essere religiosi? Almerina assicura che suo marito Dino Buzzati
credeva assolutamente in Dio. Ma quale Dio? Non certo una divinità personale
e storicamente incarnata. Buzzati non credeva nella Chiesa come istituzione,
tuttavia c'era in lui un "no" ad una dichiarata scelta di ateismo, un "sì"
ad un rapporto problematico con la fede. E Magris: "Che cosa può esserci di
religioso nella vita di chi non appartiene a una Chiesa?". "Il senso
dell'oltre", risponde Magris, la ricerca di un significato che trascenda il
piano della storia e della vita. Cosa intende dire Montale quando scrive:
"Dio mi fa problema, Cristo no"? Qualcuno, invece, ha affermato: "Dio non mi
fa problema, Cristo sì". Cristo non fa problema, nel senso che se ne
riconosce la grandezza non solo la grandezza umana, ma anche la divinità.
Vale a dire, può far problema l'accettare il Cristo predicato dalle Chiese
cristiane, il Cristo della risurrezione, della croce, il Cristo totale, vero
Dio e vero uomo. Il cristiano deve avere la capacità di cogliere in queste
affermazioni il grumo di verità, deve essere l'uomo dell'attenzione e
dell'ascolto. Spesso il cristiano è sbrigativo, pronuncia sentenze,
condanna.
Anche oggi la Chiesa ha vasto credito per il suo impegno sociale che
supplisce spesso alle carenze e alle assenze dello Stato, ma
contemporaneamente è snobbata quando richiede un impegno di fede, perché
l'impegno di fede esige che si accetti Cristo vero Dio e vero uomo, e non
solo vero uomo.
Oggi è interessante il tentativo di alcuni "laici" di costruire, in polemica
con l'etica selvaggia del "fa' quello che vuoi", un'etica in cui, pur
prescindendo da Dio, ci sia la distinzione tra bene e male. Salvatore Veca
scrive: "Dobbiamo poter distinguere ciò che è bene e ciò che è male nella
condotta umana, anche senza l'autorità di leggi date da Dio. Il problema è
dimostrare che, se anche Dio è morto, non tutto è permesso". Evidente è il
riferimento alle parole di Dostoévskij: "Se Dio non esiste, tutto è
permesso". Salvatore Natoli, l'autore di Nuovi pagani, si sforza di
costruire un'etica senza Dio, quella che lui chiama l'etica del finito. E
per far questo ricorre all'etica greca e la chiama l'etica neo-pagana.
L'etica del finito non aspira all'eterno, non si àncora all'idea assoluta di
salvezza. Secondo Natoli l'etica del finito è il terreno su cui cristiani e
non possono incontrarsi e camminare per un po' di strada insieme, con
fecondità. Mi ritornano alla mente le parole di Camus, autore di quel libro
straordinario che è La peste: "Quello che mi interessa è di sapere come si
diviene un santo. Gli viene risposto: Ma lei non crede in Dio? Proprio
questo: si può essere un santo senza Dio? È il solo problema concreto che io
oggi conosca: essere un santo senza Dio".
Oggi c'è un ritorno al sacro, come reazione al vuoto religioso della cultura
dominante. È un ritorno non privo di ambiguità. La New age annuncia un'epoca
nuova, un'età nuova, permeata dall'effusione di un nuovo spirito che è
spirito della terra. Bisogna stipulare una nuova alleanza tra uomo e natura,
fondere in uno le diverse energie dell'universo, liberare l'eros nelle cose.
Questo neo-paganesimo, così diverso da quello di Salvatore Natoli, è una
sorta di sincretismo religioso perché mescola frammenti di cristianesimo,
astrologia, oriente, gnosi, ecologia. Propone nuove vie per liberarsi dal
dolore, per sanare le lacerazioni del mondo e cerca di venire incontro a un
bisogno di salvezza per i delusi delle religioni tradizionali, ritenute
gerarchiche, repressive, dogmatiche.
Termino con un pensiero di Magris: "Credo che fede religiosa e pensiero
illuminista (vale a dire laico) debbano essere alleati contro la
paccottiglia irrazionale e superstiziosa sempre più diffusa fra troppe
persone che si sentono in dubbio davanti alle verità di fede, ma non hanno
più dubbi quando si tratta di credere ciecamente agli astrologi e ai maghi e
alla potenza del numero 13". Vale a dire credenti e non credenti uniti ai
valori forti.


da Avvenire, 10 luglio 2001

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