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Delitti d'Italia, prime vittime sono gli immigrati

Lo rivela un'indagine Istat: omicidi in calo negli anni 90, ma è più che raddoppiata la percentuale degli stranieri

di Marzio Barbagli


CHE gli immigrati, principalmente quelli clandestini, commettano certi reati
(borseggi, rapine, furti di auto e in appartamenti, lesioni dolose, violenze
sessuali, omicidi) frequentemente o comunque più spesso dei cittadini
italiani è cosa di cui tutti o quasi tutti sono oggi convinti nel nostro
paese e di cui si continua a parlare. Pare invece che nessuno si chieda se,
e in che misura, gli immigrati siano vittime di questi stessi o di altri
delitti.
Per la verità, quando sfogliamo i giornali o guardiano la televisione, ci
imbattiamo talvolta in brevi notizie di cronaca sull'accoltellamento di un
marocchino o sul ritrovamento del cadavere di una nigeriana o di una ucraina
in un bosco o al bordo di una strada. Quello che però non sappiamo - e che
probabilmente non vogliamo sapere - è se questi siano casi rari, isolati,
terribili ma statisticamente normali o facciano invece parte di un fenomeno
di dimensioni ampie o addirittura eccezionali.
Eppure, anche se i giornali non se ne sono accorti, il Ministero
dell'Interno ha pubblicato da un po' di tempo (nei Dossier di ricerca
dell'Agenzia romana per la preparazione del Giubileo) i risultati di una
indagine di grande importanza condotta negli archivi sugli autori e le
vittime di omicidio. E questi risultati sono a dir poco impressionanti.
Nel nostro paese, contrariamente a quanto molti pensano, il numero delle
vittime di omicidio, dopo aver raggiunto il picco nel 1991, è continuamente
diminuito per tutto il decennio. Non è anzi esagerato dire che ha avuto un
vero e proprio crollo, visto che in pochi anni si è dimezzato (si veda la
tabella). Nello stesso tempo però è profondamente cambiata la composizione
per nazionalità di queste vittime.
Già nel 1992 il 6 per cento era costituito da stranieri, una quota molto più
alta di quella degli immigrati residenti allora in Italia (circa l'1 per
cento). Come non bastasse, in soli sette anni questa percentuale è più che
raddoppiata. Così, alla fine dello scorso anno, gli stranieri costituivano
il 2 per cento della popolazione residente nel nostro paese, ma quasi il 15
per cento delle vittime degli omicidi commessi nel territorio nazionale.
Per avere un'idea più precisa di quanto è avvenuto e sta avvenendo dobbiamo
tenere conto di due importanti differenze. Il primo luogo di quella per
sesso. In Italia, come in tutti i paesi occidentali, gli uomini sono molto
più spesso non solo autori, ma anche vittime di omicidio. Così, ad esempio,
sulle persone uccise nel 1992 le donne non superavano il 18 per cento.
Questo forte squilibrio per sesso si riscontra anche fra gli stranieri che
vengono uccisi in Italia, ma in misura minore. È anzi qui, nel rapporto
numerico fra uomini e donne, che troviamo uno dei più impressionanti
mutamenti verificatisi nell'ultimo decennio. La quota degli stranieri sul
totale delle vittime di omicidio è raddoppiata nella popolazione maschile,
ma è più che triplicata in quella femminile.
La seconda differenza è di natura territoriale. L'aumento della percentuale
degli stranieri sul totale delle vittime di omicidio non è avvenuto dovunque
nella stessa misura. È stato fortissimo nelle regioni centro-settentrionali
(dove ha raggiunto il 30 per cento), molto più contenuta in quelle
meridionali e insulari (dove non ha superato il 5 per cento). Siamo dunque
di fronte a una tendenza nuova, di vaste dimensioni, preoccupante.
Ma è un fenomeno solo italiano o riguarda tutta l'Europa? Non esistono
purtroppo dati comparabili. Ma quelli disponibili per la Svezia ci dicono
che, dal 1950 a oggi, la quota degli stranieri sulle vittime di violenza
mortale è salita dal 4 al 28 per cento nella popolazione femminile e dal 5
al 24 per cento in quella femminile. Questa tendenza è in atto dunque anche
in Svezia (e, da quello che riusciamo a capire, in tutta Europa). Ma
nell'Italia centro-settentrionale è assai più forte.
Per valutare appieno il significato del confronto fra il nostro paese e la
Svezia occorre tener conto che da noi l'aumento del numero di stranieri
vittime di omicidio si è verificato in meno di un decennio e non in mezzo
secolo e che in Svezia la quota di immigrati residenti è assai più alta che
in Italia.
Come spiegare questa nuova tendenza? Abbiamo forse a che fare con un'ondata
di hate crimes, di reati dovuti all'odio e alla violenza razziale?
Sicuramente no. Ce lo dicono i primi risultati di un'altra vasta indagine
condotta dal Ministero dell'Interno e dall'Istat (presentati a un recente
convegno della Facoltà di Statistica dell'Università di Bologna). Autori e
vittime dei delitti hanno spesso in comune la nazionalità. Così, se a
commettere un omicidio è un italiano, a essere ucciso è nel 96 per cento dei
casi un connazionale e nel 4 per cento uno straniero. Se l'autore del
delitto è uno straniero, la vittima è nel 30 per cento dei casi italiana,
nel 70 un connazionale.
Dunque, se ogni anno in Italia vengono uccisi tanti immigrati non è per odio
razziale. È in primo luogo per i conflitti che nascono, fra immigrati
extracomunitari dello stesso paese e di paesi diversi, nello svolgimento di
attività illecite (ad esempio, il traffico e lo spaccio di sostanze
stupefacenti).
Ed è in secondo luogo per le dimensioni assunte negli anni 90 dalla
prostituzione di strada. È per questo che la quota delle immigrate sul
totale delle donne vittime di omicidio è passata, in solo sette anni, dal 7
al 23 per cento. È per questo che fra di loro vi sono soprattutto albanesi,
nigeriane, ucraine. È qui che troviamo una peculiarità italiana.
In nessun paese come nel nostro vengono uccise ogni anno tante prostitute.
Non credo che lo sappiano e che se ne rendono conto coloro che, difendendo i
principi dell'abolizionismo, hanno irriso alle proposte che sono venute da
diverse parti per ridurre o regolare la prostituzione di strada.

da La Stampa 27 dicembre 2000

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