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Immigrazione illegale e i domestici usa -e- getta


di Beppe Severgnini


Tre settimane fa, proprio qui, si parlava dell'ipocrisia che circonda il
trattamento degli immigrati. Quel pezzo ha suscitato reazioni stizzite.
Benissimo: proseguiamo. La stizza, infatti, è meglio dell'indifferenza. Ed è
il primo passo verso la consapevolezza, che è una parola lunga e fuori moda.
Ma vuol dire: chi vuol vivere con la testa dentro un sacco?
La situazione, la conoscete. In Italia vivono centinaia di migliaia di
immigrati irregolari, clandestini, persone senza permesso di soggiorno.
Chiamateli come volete: il concetto è chiaro. Il numero, no. Stime
caritatevoli, credo, attenuano il fenomeno.
La grandissima maggioranza non fa nulla di male, anzi fa parecchio bene.
Provate a entrare in un bar di Milano, in una di queste mattine di sole
malato, e troverete coppie formate da un anziano e da un accompagnatore. Il
primo italiano, il secondo rigorosamente straniero. Al pomeriggio compaiono
le baby-sitter coi bambini (quelle straniere, questi italiani). La sera, nei
ristoranti, in sala ci siamo noi; ma in cucina ci stanno loro. I cani di
Milano, tra non molto, abbaieranno sospettosi davanti a una faccia bianca.
Chi li porta a spasso, li cura e li nutre è spesso uno straniero venuto da
lontano. Osservavo una di queste combinazioni, ieri in viale Majno.
Il boxer, quieto, scrutava con filosofico sospetto l'erbetta che cresce tra
le carreggiate. La ragazza che lo teneva al guinzaglio - sudamericana,
dall'aspetto - aveva la faccia triste di una santa minore.
Questi immigrati non spaventano, non sfruttano, non rubano.
Questi immigrati hanno bisogno di noi come noi abbiamo bisogno di loro.
Certo, avrebbero dovuto entrare in Italia legalmente, ma la serena
incoscienza di tanti governi (che mascheravano la propria pigrizia invocando
l'inevitabilità del fenomeno) ha permesso che le cose andassero
diversamente. Ora, comunque, quella gente è qui. Che facciamo?
Al momento, se ho capito bene, s'è deciso di far finta di niente.
Il governo nega di voler intervenire con una sanatoria, e questa malinconica
sottoclasse continua ad accudire i nostri vecchi, ad assistere i nostri
malati, a cucinare i nostri pasti, a portare a spasso i nostri cani. Senza
diritti, senza tutela e senza assistenza. A Milano come a Roma, a Napoli
come a Torino. C'è chi non ne approfitta, e paga stipendi onesti,
assicurando condizioni di vita dignitose (in molti casi, buone); spesso
vorrebbe regolarizzare il dipendente, ma non può. C'è però anche chi
richiede un clandestino per poterlo pagare meno, trattare come gli pare,
cacciare quando vuole, riprendere se gli conviene.
Chi si comporta così? Gente di tutte le classi, di qualsiasi reddito e di
ogni opinione politica. Giorni fa il capo di una grande azienda italiana -
sapreste chi è, se scrivessi il nome - mi raccontava d'aver avuto una
furibonda discussione a cena. Alcuni dei presenti - gente che è rimasta
milionaria in euro, per intenderci - si gloriavano di risparmi meschini, si
vantavano di impiegare domestici usa-e-getta. La persona che mi ha
raccontato l'episodio non ci ha visto più: "Vergognatevi", ha detto. Ora,
sostiene, dovrà andare a cena da un'altra parte.
Sia chiaro. Queste cose accadano anche altrove. L'ipocrisia che circonda il
mercato dell'immigrazione è uno dei tratti meno lusinghieri della società
occidentale (che un illuso come me continua a considerare buona, e
migliorabile). Prendiamo l'America. Se i messicani illegali venissero
espulsi tutti insieme, la California si fermerebbe. Bisogna aggiungere, per
onestà, che la classe dirigente americana sembra farsi qualche scrupolo in
più. Ci sono ministri che si sono dimessi, per aver impiegato un clandestino
(come vorrei leggere un'inchiesta sul personale domestico dei nostri
parlamentari). E poi diciamolo: se l'America sbaglia, che bisogno abbiamo di
sbagliare con lei?
Precisazione finale. Questa rubrica non è un corso di educazione civica. Non
sono sicuro di essere granché, come "civis"; figuriamoci come educatore. Ma
credo che dire al pane al pane, e vergogna alla vergogna, sia sempre un
esercizio salutare.
 

Dal Corriere della Sera di giovedì 17 gennaio 2002

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