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IL PATTO DEL DIAVOLO

di EZIO MAURO

(la Repubblica 16 Gennaio 2002)

Finalmente, dopo mesi di giochi sott'acqua e di segnali cifrati, sta venendo alla luce la grande operazione politica che si propone di chiudere davvero la lunga stagione di Tangentopoli, di azzerare per sempre le pendenze giudiziarie di Silvio Berlusconi, e di gettare le basi della Terza Repubblica, con gli uomini della Prima che rinascono dalle ceneri della Seconda.
E' un progetto in due tempi, che sta ormai manifestandosi in tutta la sua chiarezza e nella sua potenza politica straordinaria. Ha la forma di un patto, e verrà proposto in nome del buon senso istituzionale, del moderatismo repubblicano, del ritorno ad una normale fisiologia democratica nei rapporti tra i poteri dello Stato, come una fuoriuscita necessaria da questa stagione di emergenza e di eccezionalità nel confrontoscontro tra politica e magistratura. In realtà è un patto del diavolo, e come tale comporta la dannazione della nostra democrazia: lo diciamo in anticipo, prima che prenda forma il grande inganno e scatti l'ultima tentazione per una classe politica pronta a barattare il senso dello Stato con la propria sopravvivenza.
Noi tutti credevamo di assistere, in queste settimane, allo scontro finale tra il potere politico e il potere giudiziario, dentro quell'aula disadorna di Milano, dove si celebra il processo Sme che vede sul banco degli imputati Silvio Berlusconi e Cesare Previti: uniti da un legame del passato talmente stretto che impedisce ormai di capire chi sia il padrone dell'altro, e ne abbia in mano la sorte finale. Quel processo si è gonfiato a dismisura, crescendo nella simbologia e nella sostanza, dettando i tempi della politica, determinandone le leggi, incarnando il destino di sventura che sembra incombere sull'avventurismo berlusconiano, anticipato ed evocato puntualmente da quel pubblico cantastorie malizioso e informato che è Cossiga.
Gli avvocati di Berlusconi e Previti hanno alzato il tiro settimana dopo settimana, con eccezioni, ricusazioni, revoche, fino alla soglia della remissione del processo per legittima suspicione. Gli stessi avvocati, trasformati dal principale imputato in legislatori della Repubblica, tramutavano intanto alacremente in leggi, decreti, provvedimenti quella montagna di ostacoli procedurali, incuranti di violare accordi internazionali sulle rogatorie, intese tra quindici Paesi europei sullo spazio giudiziario antiterrorismo, accordi internazionali sul mandato di cattura europeo.

Così la democrazia rischia di mutilare se stessa: lo Stato di diritto infatti non può essere sospeso

Dopo mesi di giochi sott'acqua viene alla luce l'operazione per chiudere l'era di Tangentopoli

 

(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
EZIO MAURO


Il Guardasigilli annunciava una riforma urgente della giustizia in tredici punti, di cui è sufficiente il primo, che punta ad assoggettare definitivamente il pubblico ministero all'esecutivo. Con tutta questa pressione impropria e il rifiuto pervicace degli imputati di difendersi nel merito, contestando alla radice la giustizia di Milano e la sua bilancia, quel processo appariva già a tutti circondato, assediato, prossimo alla resa. Quasi a unire la realtà e la metafora, in un disegno politicamente psichedelico, il governo del grande imputato toglieva anche la scorta ai magistrati che lo accusavano in Tribunale: come per spingere fisicamente la loro mano ad alzare infine bandiera bianca.
Invece era solo il primo atto. Nel momento in cui questa spinta straordinaria sulla porta del palazzo di giustizia milanese non produceva un risultato di rottura, è nata l'idea di utilizzare questa massa d'urto politicamente. La formula impiegata in questo caso è semplice: le istituzioni sono state forzate al massimo per bloccare il processo; le norme di procedura hanno sopportato una torsione senza precedenti per fermare i giudici; le istituzioni sono state messe a dura prova in uno scontro tra i poteri costituzionali che non ha limiti. Bene. Se i giudici e il processo non cedono e non saltano, in questa torsione, resisteranno altrettanto le istituzioni? Non potrebbe essere qui — nel sensibile terreno istituzionale — il punto di rottura, invece che nel terreno giudiziario, violato e consumato, e tuttavia resistente?
La strategia d'attacco nelle ultime settimane ha dunque un duplice obiettivo, simultaneo. L'aula del processo, naturalmente, che va resa inagibile in permanenza, perché la giustizia sul caso concreto non muova un passo avanti. E le istituzioni del Paese, perché capiscano che il braccio di ferro sul caso Sme può travolgere l'intero sistema della giustizia, mettendo a repentaglio gli equilibri tra i poteri con una riforma radicale ed estrema, fino a modificare i contorni dello Stato di diritto. Nell'inaugurazione dell'anno giudiziario, l'istituzione giustizia nel suo insieme ha rivelato — con una protesta spontanea, civile e diffusa in tutto il Paese — di aver ben presente la portata dello scontro, ormai infinitamente più ampio del caso Sme, anche se da quel caso è costantemente generato e alimentato.
A questo punto, sono pronti a scendere in campo gli Emeriti. Si tratta di personaggi che hanno ricoperto cariche importanti in istituzioni di garanzia del Paese (magari indicati e sostenuti dalla parte opposta a quella che oggi servono) e che in attesa di nuovi incarichi elargiti da chi oggi comanda si prestano a cercare 'soluzioni', 'vie d'uscita', 'rimedi', in nome naturalmente del buonsenso istituzionale. Non sono i nostri ordinamenti ormai a repentaglio, per una tensione polemica insopportabile in democrazia? Non dimostrano i singoli poteri esecutivo e giudiziario di esorbitare dai loro ambiti? Non si è smarrita da entrambe le parti ogni moderazione? Non si corrono così rischi gravi per la corretta fisiologia democratica delle istituzioni?
Ecco dunque le parole di questi giorni: 'dialogo', 'ricucitura', 'intesa'. In concreto, applicate al caso attuale, dove c'è un processo aperto che non riesce ad andare avanti, queste parole non significano nulla. Infatti preparano altro: il grande patto, che proprio ieri ha preso forma nei primi incontri riservati. In sostanza, il Polo propone alla sinistra di chiudere per sempre il capitolo giudiziario che riguarda Berlusconi (e Previti, naturalmente, perché i due destini non sono divisibili), varando un vero e proprio salvacondotto, o meglio un'uscita di sicurezza blindata e garantita. Come ha spiegato ai suoi interlocutori ieri il vicepresidente del Csm Verde, se si rischia di mettere a repentaglio lo Stato di diritto per ottenere giustizia nel giudizio contro un imputato, che è anche presidente del Consiglio, meglio rinunciare a quell'imputato e salvare lo Stato di diritto: magari reintroducendo l'autorizzazione a procedere per i parlamentari cancellata nel '93 sull'onda di Tangentopoli, e rendendola per sicurezza retroattiva, fino a bloccare i processi politici in corso: in particolare uno.
E' lo schema che il Polo aveva costruito da tempo: attendeva soltanto che arrivasse qualcuno da fuori, per farlo scattare con decenza. Ma alla destra, che sa di giocare una sua partita mortale, l'uscita di sicurezza non basta, bisogna far saltare il portone principale, in piena e definitiva evidenza. Il grande patto prevede infatti non la riedizione della vecchia autorizzazione a procedere contro i parlamentari, sempre esposta a colpi di mano nel voto dell'aula, ma il 'modello spagnolo' evocato dall'avvocato Pecorella, con la sospensione dei termini per l'azione penale e per la prescrizione del reato fino alla fine del mandato parlamentare.
In cambio, ai magistrati, al Csm, al mondo dei professori di diritto che in queste settimane ha protestato, all'Ulivo disorientato, si propone esplicitamente il dimissionamento anticipato e immediato del ministro Castelli, che a questo punto avrebbe svolto bene — fino ad esaurirlo — il suo compito tecnico di spaventapasseri. Arriverebbe un nuovo Guardasigilli 'di garanzia' (il nome è già pronto), finirebbe la polemica sulle 'toghe rosse', l'autonomia della magistratura sarebbe garantita, la grande riforma ritirata, i tredici punti cancellati, il Csm preservato. Alla sinistra, il grande tentatore della destra propone qualcosa di più: sopra il tavolo una seconda 'costituzionalizzazione', che cancellerebbe le polemiche berlusconiane contro i 'comunisti'. Sotto il tavolo, il ritiro o l'aborto delle commissioni d'inchiesta Mitrokhin e Telecom Serbia, costruite come un fucile puntato contro code di paglia vere e presunte dell'opposizione.
Com'è evidente, si tratta di un vero e proprio patto del diavolo, perché attraverso questa operazione la democrazia italiana mutilerebbe se stessa, in cambio di ciò che le spetta di diritto e che non deve riacquistare ad un prezzo inaccettabile da chi ne ha fatto confisca: e cioè una corretta fisiologia istituzionale, con rispetto degli ambiti, delle regole, dei poteri. Se lo Stato di diritto viene sospeso anche per una sola eccezione, cessa di esistere, cambia la natura del sistema. Non si può accettare che chi deforma le regole metta in vendita un ritorno alla normalità al valore prefissato dell'immunità per una persona, e della perdita per la collettività della certezza nella legge uguale per tutti.
Il diavolo italiano ha fatto la pentola che serve alla destra. Manca, come vuole la tradizione, il coperchio. Adesso che il patto è svelato, si vedrà se la sinistra e le istituzioni supreme di garanzia sono capaci di non vendere l'anima della nostra democrazia, salvando la propria.

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