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PIANETA PROSSIMO VENTURO

Gli scenari ambientali del futuro tracciati nel rapporto dell' IPCC

di Francesco De Marchis  

Venezia completamente sommersa dalle acque, niente più sci e ghiacciai sulle Alpi, siccità e carestie al sud Italia mentre al nord aumentano le alluvioni, la malaria fa la sua ricomparsa nel nostro paese: non è l’abbozzo di una sceneggiatura cinematografica estremamente catastrofica per lo stivale, ma è la fotografia dell’Italia del ventiduesimo secolo, alle prese con le trasformazioni che i nostri comportamenti le stanno imprimendo. Una fotografia che sarà presentata, inserita nel quadro più generale dei mutamenti climatici mondiali, dagli scienziati dell’IPCC (International Panel on Climate Change, istituzione creata dall’Organizzazione meteorologica mondiale in collaborazione con l’ONU) al loro congresso internazionale che si svolgerà a Londra i prossimi 24-29 settembre. Questo rapporto parla molto chiaro: “il riscaldamento del pianeta non è imputabile a cause naturali e le emissioni di gas serra sono così elevate che è certa una continua accumulazione nell’atmosfera per tutto il XXI secolo”. Anche se oggi, di colpo, tutti i paesi decidessero un completo stop ad ogni tipo di emissione. Il pianeta è malato e noi ne siamo i principali responsabili: ciò che gli scienziati dell’IPCC auspicano è che almeno si applichi il protocollo di Kyoto che impone di ridurre le emissioni di anidride carbonica, protossido d’azoto, clorofluorocarburi prodotte da auto, centrali ed edifici, emissioni che solo in parte riescono ad essere assorbiti da oceani e piante.  I livelli di anidride carbonica nell’atmosfera sono del 30% più elevati rispetto all’epoca preindustriale, e presumibilmente paragonabili ai livelli dell’ultimo periodo caldo interglaciale. Inoltre il loro tasso elevatissimo di crescita non riesce ad essere compensato dall’inquinamento “buono”, cioè dal rilascio nell’atmosfera di particolati e polveri che danno un effetto di schermo alle radiazioni solari.

Il lavoro dell’IPCC ha messo in evidenza come la temperatura dello strato inferiore dell’atmosfera si sia innalzata sensibilmente nel corso del XX secolo e che la velocità del surriscaldamento sia salita nel corso degli ultimi dieci anni raggiungendo il suo picco massimo nel 1998. Tale riscaldamento, date le sue peculiarità, non è imputabile a fattori naturali: infatti, mentre al sud ha accentuato fenomeni di siccità già presenti, si è concentrato particolarmente nell’emisfero settentrionale, è maggiore in inverno e durante la notte, tutti fenomeni riconducibili a modelli sperimentali che si basano su aumenti non naturali di gas serra nell’atmosfera. Canada, Siberia, Mongolia, Tibet saranno più calde durante la stagione invernale ma anche zone già oggi aride risentiranno del maggiore riscaldamento (+7 gradi centigradi sul Mar d’Aral ed effetti sensibili sulla maggior parte dell’Europa, dell’Africa e del Nord America). L’atmosfera sarà più ricca di energia per l’accumulo di calore, e ciò porterà ad un aumento delle piogge nelle zone tropicali e ad eventi meteorologici estremamente più violenti. Il riscaldamento alle alte latitudini dell’emisfero boreale provocherà un massiccio scioglimento dei ghiacci in Groenlandia, che oltre all’innalzamento del livello del mare oltre ogni previsione, apporterà un sensibile mutamento della salinità delle acque che potrebbe far saltare il meccanismo che governa la corrente del Golfo. Questa prospettiva comporterebbe un ulteriore disastro per l'Europa del Nord che sarebbe spinta a livelli glaciali con ripercussioni negative su tutto l’ecosistema europeo (oggi tra Europa e Siberia, in inverno alla stessa latitudine, ci sono 25 gradi centigradi di differenza).

L’espansione termica dell’acqua dovuta a questo progressivo riscaldamento porterà ad un innalzamento continuo del livello dei mari che, anche se le temperature dovessero stabilizzarsi, non si fermerebbe per i prossimi 500 anni: entro il 2100 i livelli degli oceani raggiungerebbero una quota superiore di 80 cm rispetto alla quota attuale (considerando l’attuale livello medio di crescita di circa 14 cm a decennio e senza contare gli effetti di un massiccio scioglimento dei ghiacci, a cui si è poco sopra accennato, che innalzerebbe il livello degli oceani a 6 metri oltre la quota attuale entro il 2100) con conseguenti inondazioni delle aree più esposte non escluse grandi città come Lagos, Londra e New York.

Entro il 2025 almeno cinque miliardi di esseri umani non avranno più acqua potabile con cui dissetarsi: questa crisi toccherà drammaticamente regioni che fino ad ora non hanno avuto particolari problemi di approvigionamento, Asia e Africa meridionale, bacino del Mediterraneo con pesanti ricadute su una economia basata essenzialmente sul turismo. Tutti i ghiacciai delle vallate montane potrebbero sparire entro il 2100 e le precipitazioni nevose con loro: questo fenomeno è già vistosamente in atto come si può vedere da alcune foto del ghiacciao Rutor in Valle d’Aosta riprese a 100 anni di distanza l’una dall’altra dalla Società Italiana di meteorologia onlus; i ghiacciai del monte Kenia si sono ridotti di circa il 92% in volume e quelli del Kilimangiaro del 73%. Insomma stiamo assistendo al più grande disgelo dalla fine delle glaciazioni, con una diminuzione media dei ghiacci del 10% negli ultimi 30 anni

Ma se non volessimo spostarci troppo da casa nostra, per pigrizia o per poco interesse, comunque gli effetti del surriscaldamento sono già sotto i nostri occhi con, purtroppo, il loro tragico bilancio: chi non ricorda le recenti alluvioni, sempre più frequenti sull’Italia centrosettentrionale. Straripano il Lago di Como e il Lago Maggiore a ottobre; ad Albenga a novembre muoiono tre persone; la Lucchesia flagellata dalle piogge; Natale sotto la neve al Nord e temperature più che primaverili al Sud, con punte di 20 gradi in Sicilia; la Capitanata in Puglia, un tempo una delle zone più fertili del nostro Meridione che somiglia sempre più ad un arido deserto.

Il grido d’allarme lanciato dagli scienziati dell’IPCC somiglia ad un ultimo appello: fare qualcosa, qualsiasi cosa, e smettere di rimandare: un appello rivolto ai governi (servono 55 ratifiche al protocollo di Kyoto perché questo possa decollare: a tutt’oggi siamo a 34), ma anche ai singoli che spesso assumono stili di vita improntati ad alti consumi energetici per soddisfare desideri e necessità. Grandi speranze vengono riposte nello sfruttamento di fonti di energia rinnovabile, come quella eolica o solare, anche se la loro diffusione è ancora molto bassa e si prevede che tra venti anni rappresenteranno solo il 2% dell’offerta di mercato; altro capitolo importante riguarda l’adozione di processi di produzione industriale più “puliti”, che dovrebbero drasticamente abbattere le emissioni nell’atmosfera nel volgere di un ventennio, e l’introduzione sul mercato di automobili a celle a combustibile, molto più pulite dei motori attuali e probabilmente più efficaci dei motori ad idrogeno; la migliore progettazione dei più comuni elettrodomestici, che dovrebbero assicurare un netto taglio dei consumi energetici. Usando un espressione semplice, ricorrente, adottare uno sviluppo sostenibile, prima che la sceneggiatura del pianeta agonizzante vada definitivamente in scena. 

Francesco De Marchis

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