Il Signore ci ha visitati, è venuto a prendersi nonna Liana.

Non ce l’ha tolta bruscamente. Il Signore conosce la fragilità del nostro cuore.

Ha deposto donna Liana su un letto di agonia, e ve l’ha lasciata per 33 giorni, per non toglierci tutto d’un tratto ogni speranza: per insinuarci lentamente, giorno per giorno, un po’ di rassegnazione, per far crescere in noi, secondo un suo piano amabile, una piena adesione al Suo volere.


Queste non sono parole nostre. Non le abbiamo scritte noi. Le abbiamo parafrasate, diciamo pure  copiate, da un editoriale  scritto 45 anni fa dal gruppo di redazione di una rivista chiamata “Adesso” per annunciare la morte del fondatore, don Primo Mazzolari.


Queste parole, oggi, noi le vogliamo dedicare, alla nostra fondatrice, alla madre della nostra famiglia. Perché nonna Liana, per noi, era più che una nonna. Era una madre, una zia, una cugina, una sorella, un’amica.

Ci ha cresciuto, ci ha raccontato le fiabe, ha guardato con noi la televisione – vent’anni fa i cartoni animati, due mesi fa  i film di Totò e Peppino – ha ascoltato le nostre confidenze, ha seguito ogni passo della nostra vita, nelle nostre carriere scolastiche, universitarie e lavorative.

Conosceva tutto di tutti: non si perdeva uno spettacolo di Daniele, un esame di Serena. Un numero di Adesso, che sosteneva e distribuiva a tutte le sue amiche.

 

Si è sentita male proprio il giorno in cui dovevo portarle un po’ di copie del nuovo numero, il 32. Stavo preparando le spedizioni la mattina in cui ha avuto l’emorrargia che l’ha portata in coma.

 

Le ultime parole che mi ha detto riguardavano proprio “Adesso”. Mi aveva dato la sua adesione alla cena del 9 ottobre e aveva aggiunto 50 euro come donazione per la rivista.

 

Oggi noi vogliamo ringraziare il Signore per avercela donata, ma anche per avercela lasciata così a lungo, e anche per il modo in cui ce l’ha portata via, così – permettetemi di dire – perfetto, tanto per noi quanto per lei.


A noi ha risparmiato il trauma che forse non saremmo riusciti a sopportare.

Ci ha presi per mano, e ci ha accompagnato verso la sua morte, passo dopo passo.

Ma lo vogliamo ringraziare anche da parte sua per averle risparmiato la sofferenza e l’umiliazione di una malattia che lei, così iperattiva, lei che fino al giorno prima di sentirsi male andava a trovare malati e vecchiette, lei che aveva passato la vita ad assistere persone malate,  non avrebbe potuto accettare.

Ci ha dato modo di starle vicino, di recuperare tutto il non fatto e tutto il non detto, senza costringerla ad una situazione che lei non avrebbe amato.


Non accettava la vecchiaia, figuriamoci la malattia.

Perché se c’è una cosa che nonna non accettava, era proprio l’idea di invecchiare. Tendeva a deprimersi anche solo perché magari non si ricordava una cosa, o perché non poteva più prendere l’autobus da sola. Non sopportava l’idea di non essere più efficiente e indipendente.


E allora vogliamo ringraziare il Signore di essersela presa proprio sulla soglia della vecchiaia, un momento prima che fosse cominciata la discesa, quando ancora era non solo efficiente e indipendente, ma era ancora un punto di riferimento per tutta la famiglia.

 

In queste occasioni si dice sempre: “Preferiamo ricordarla com’era”. Beh, noi questo problema non ce l’abbiamo. Perché è sempre rimasta com’era.  Si è addormentata e ha dormito per 32 giorni, ma è rimasta sempre la stessa.

 

Noi nipoti, il più grande ha trent’anni, il più piccolo 13, e tutti possiamo dire che il ricordo che abbiamo di nonna, da quando siamo nati a oggi, è sempre lo stesso.

E’ sempre rimasta uguale: da quando ci leggeva le fiabe a quattro anni, all’ultima volta che l’abbiamo vista.

 

Non l’abbiamo vista invecchiare, anche per questo – forse - non ci rendevamo conto che aveva 81 anni, perché nel cuore e nel carattere si era fermata a 60.

Ha continuato fino all’ultimo a fare il pranzo per tutti. Addirittura il giorno stesso che si è sentita male, aveva preparato il pranzo.

 

Per una curiosa coincidenza, o fatalità, o scherzo di Dio, infatti, mercoledì 29 aveva già predisposto il pranzo per giovedì 30, il giorno che si è addormentata.

E che pranzo! Aveva preparato i calzoni, la sua specialità. Come li faceva lei, davvero non li faceva nessuno. Mi dispiace, ma non ce li trovate in pizzeria così. E’ stato il suo ultimo regalo, e peccato che non ce lo siamo gustato.

 

Io, a dire, il vero, mercoledì, finito il pranzo, quando ho visto che li stava preparando le ho chiesto se potevo assaggiarne uno. Ovviamente lei non mi ha potuto dire di no. Poi mi fa “hai ancora fame” e io, “Mah...”, “ne vuoi un’altro?”. “Se proprio insisti”.

 

Il terzo però, non me l’ha dato. “Sono per domani” mi ha ripetuto.

Io però sono contento perché sono l’ultima persona che li ha mangiati caldi, appena fatti.

 

E’ retorico dirlo, lo so, perdonatemi. Ma Nonna era davvero una piccola grande donna, e una piccola grande nonna. In ogni senso. Non ha mai fatto niente di grandioso nella sua vita, niente di clamoroso: è stata una donna “normale”, eppure è stata eccezionale nella sua sobrietà.

 

La sobrietà, crediamo, è stata la sua caratteristica principale, direi la chiave di lettura della sua intera vita. Sobrietà in ogni senso.

 

Non c’è bisogno di essere noglobal laureati in economia per realizzare lo Sviluppo sostenibile. Basterebbe seguire i consigli di nonna.

 

Per lei la sobrietà era innanzitutto una forte opposizione al consumismo. Lei stava male nel vedere gli sprechi, ci stava proprio male, non lo sopportava. E lei non sprecava niente, niente! Nemmeno l’energia del frigorifero: se c’era una bottiglia di vino a metà, lei la riversava in un barattolo per non sprecare spazio. A casa sua non si sono mai visti né piatti di plastica, né bicchieri di plastica. Ma non solo! Ma era, penso, una delle poche persone rimaste che usava tovaglioli e fazzoletti di stoffa!

Lei riutilizzava tutto, non buttava via niente: aveva barattoli di biscotti che avevano vent’anni, e un ventilatore del 1965, perfettamente funzionante.

 

Da questo punto di vista le davamo parecchio da preoccupare: a me mi sgridava sempre – e alla fine mi ci prendeva in giro – perché accendo sempre la luce. Per Barbara si preoccupava perché corre sempre, rischiando di “consumare la vita”.

 

Era una donna sobria nel fisico: è stata una bella ragazza e una bella vecchietta, ma lei sottolineava sempre di non essere stata mai corteggiata molto, anche se non era vero.

Era sobria nell’amore. Si considerava una persona fredda, perché non è mai stata “eclatante” nelle manifestazioni d’affetto: non era un tipo da baci abbracci e parole d’amore. Era concreta, amava nei fatti, ma non ti faceva mai mancare il suo aiuto, il sorriso.

 

D’altra parte, di quanto amore abbia seminato, abbiamo avuto la prova in questi giorni: abbiamo avuto davvero tante sorprese, non sapevamo che fosse così amata, non sapevamo che avesse così amato, proprio per la sua discrezione, la sua semplicità.

 

Era discreta anche in famiglia: voleva essere utile, ma non indispensabile. Non era invadente nel voler fare qualcosa, ma stava sempre a disposizione. Ti metteva nella condizione di aiutarla senza farti pesare se non lo facevi.

Quando doveva uscire di pomeriggio mi faceva: “Che per caso prendi la macchina?”, “Ma veramente pensavo di andare in bici, ma se vuoi”,  “No, no, non ti preoccupare, c’è l’autobus, c’è Anna...”.

 

Era sobria nella religione: era davvero una donna di fede, una persona religiosa, ma amava le cose concrete. Non era decisamente una “Devota”. Era una cristiana.

Piuttosto che dire il rosario, preferiva andare a trovare una vecchietta, ai miracoli di padre Pio preferiva il buon senso di frate Indovino.

 

Era sobria nella vita: sentiva che la morte si stava avvicinando e lo accettava con serenità. Ogni volta che ci salutavamo diceva: “Ci vediamo, se Dio vuole. Sennò, via! Tanti saluti!”.

Quando sarà ora, ripeteva, “Via, senza tante storie!”.

 

Eppure, non si può davvero dire che non amasse la vita, o che desiderasse finirla.

Era un po’ stanca, quello sì. Si annoiava molto. Diceva che era stufa. Ma anche qui, senza esagerare, senza fare la tragedia. “Stufé” diceva scherzando.

Ma non si lamentava mai.

 

Parlava spesso della sua morte, ma senza fare grandi discorsi di addio: se ne sarebbe voluta andare, per usare un’altra frase fatta, “in punta di piedi, senza dare fastidio”.

E soprattutto, nella sobrietà.

Diceva sempre: Quando morirò, sui manifesti non scrivete quelle cose ridicole:  “Madre esemplare, moglie stupenda...” scrivete “Liana Cappelli Barlozzi”. E basta!

 

Non è che gli abbiamo dato molto retta. Gli abbiamo fatto un sacco di elogi nei manifesti, e anche in questo discorso.

 

Lei non lo avrebbe voluto, perché non era nel suo stile, ma questo non significa che non lo avrebbe apprezzato.

Lei diceva sempre di non volere regali, ma quando uno glieli faceva mica si arrabbiava. Non amava le feste, ma quando la invitavi veniva quasi sempre. E la festa di compleanno, alla fine, l’ha accettata, ogni anno.

 

E allora nonna, anche questa è solo una festa: la tua festa più grande. Quindi: TANTI AUGURI!

 

Arnaldo, Barbara, Daniele, Riccardo, Serena