La scomparsa di un profeta

 di Ciro Miele


«Caro arcivescovo Helder Camara,  fratello dei poveri e mio fratello».

Con queste parole Giovanni Paolo II si rivolse abbracciandolo davanti a folle di contadini, a quel vescovo minuto, dagli occhi grandi e dal cuore immenso, scomparso alcuni giorni fa.
 

Il mondo perde un grande profeta. Uomini così se ne vanno lasciando dietro di se quella forza impetuosa della profezia che non smette e non smetterà mai di importunare le coscienze addormentate.
 

I poveri stavano bene con lui perché era egli stesso povero, nell’aspetto,e nel suo relazionarsi. Sì, perché più che parlare dei poveri bisogna mettersi addosso la loro camicia, trapiantarsi dentro i loro occhi, il loro modo di vedere. E questo dom Helder lo aveva capito.
 

Un impegno e anche una vocazione quella sua di far capire ad oppressi ed oppressori, parteggiando per gli uni e amando anche gli altri, in quella zona del Nordeste del Brasiele, così povera e dove il contrasto tra poveri e ricchi stride fastidiosamente, che «Dio, avendo creato tutto e ciascun uomo a sua immagine e somiglianza, non ammette, accanto a uomini-uomini, uomini-cactus, ombre di uomini...».
 

Parole forti a volte irrise a volte cancellate dal cuore e dalla mente perché scomode. Del resto proprio lui aveva affermato che «il mondo d’oggi ha pochi profeti e irride il profetismo».
 

Vigore nel suo ministero episcopale ma anche sofferenza per le frequenti accuse che gli venivano. «C’è chi mi accusa - scriveva - di essere sovversivo, rosso, comunista, e lo fa per gioco o per malizia: ma c’è anche chi lo fa in buona fede ed arriva al punto di pregare per la mia conversione... Ma io non credo alla violenza, non credo all’odio, non credo alle rivoluzioni armate. Non ho bisogno del marxismo: il Vangelo mi dà tutto ciò che il marxismo potrebbe darmi. Inutile allarmarsi: non predico l’odio, predico l’amore».
 

E il suo progetto di cristiano, di vescovo non era limitato al solo Brasile. Ad un giornalista, una volta disse: «L’America latina è il continente dove lo sfruttamento dell’uomo presenta forse il più alto tasso di disuguaglianza. E qui non sempre la voce di Dio ha saputo levarsi alta e chiara a denunciarlo».
 

Non so se anche per noi non sia giunto il momento di riflettere a lungo, credenti e non, sulla nostra «scelta preferenziale per i poveri».
 

Occorre che cominciamo a porre, con spirito profetico, segni di grande speranza consapevoli che, come affermò un altro grande vescovo dei poveri, monsignor Romero «incarnare la giustizia dei poveri significa annunciare la Buona Notizia».
 

(da Adesso n.6 - settembre 1999)