La fine della guerra fredda

 

di Dario Scorza



Tutto si potrà dire di Gorbaciov: che non sia stato un abile politico, che non abbia saputo conquistare la fiducia del popolo russo (alle prime elezioni libere riuscì a raccogliere poco più dell’1%); ma nessuno potrà mai negare il ruolo determinante che ha rivestito per il mantenimento della pace e per l’allontanamento definitivo della minaccia nucleare.
Dopo la nascita della NATO e della “Cortina di ferro” tutto contribuiva a far crescere la contrapposizione tra due concezioni del mondo, tra due parti della terra i cui abitanti nutrivano un odio crescente gli uni verso gli altri. Reagan, l’alfiere di uno dei due blocchi, aveva definito apocalitticamente l’altro “Impero del male”. Ma ad una politica di potenza militare (ricordiamo lo Scudo spaziale), di egemonia mondiale, di sottomissione dell’avversario, quale era quella perseguita da Reagan, Gorbaciov decise di non rispondere occhio per occhio.
Alla luce dei nuovi tempi, Gorbaciov mette in soffitta Lenin (che vedeva nella guerra mondiale un occasione per la presa del potere del proletariato) ed afferma: “In un conflitto nucleare globale non vi sarebbero né vincitori né vinti: la civiltà mondiale perirebbe inevitabilmente”. Parole che riecheggiano quelle di Bertrand Russell, di don Milani, del Concilio Vaticano II. E allo scudo spaziale di Reagan, Gorbaciov rispondeva così: “I tentativi di conseguire una supremazia militare sono assurdi. Distogliendo risorse enormi da altre priorità, la corsa agli armamenti riduce il livello della sicurezza, ed è di per se stessa, nemica della pace. L’ unica via per giungere alla sicurezza passa attraverso le decisioni politiche e il disarmo”. 
Di fatto, fu Gorbaciov a scegliere la strada della distensione. Ginevra, Novembre 1985; Reykjavik, Ottobre 1986; Washington, Dicembre 1987. Queste le tappe verso il disarmo. La prima, Ginevra, mise fine ad una lunga stagione d’incomunicabilità; l’ultima, Washington, ha un alto valore simbolico perché per la prima volta prevedeva la distruzione concordata di armi nucleari. Oltretutto, Gorbaciov aveva accettato di negoziare non in campo neutro, come sarebbe stato naturale, ma proprio nella tana del suo avversario. La tendenza era ormai definitivamente invertita.