LO SQUALO WILLY

 

 

 

Il grande squalo bianco nuotava nel’'acqua silenziosa della notte spinto da brevi colpi di coda. Il suo corpo bianco, coperto da un mantello grigio-azzurro, superava i sei metri di lunghezza. Le fauci erano aperte quanto bastava per far arrivare il flusso d'acqua  alle branchie.  Il  resto del corpo si muoveva appena;  di  quando  in quando il lieve muoversi di una pinna pettorale apportava una  correzione alla rotta, apparentemente senza meta.

I  sensi non trasmettevano niente di particolare al piccolo  cervello del pescecane. Lo squalo poteva essere addormentato, se non fosse stato per il movimento dettato dall’istinto. Lo squalo  non ha la vescica natatoria, come gli altri pesci, ma solo un  grosso fegato, che, contenendo olio, lo aiuta a galleggiare, ma è il movimento  delle pinne che gli permette di  mantenersi  a galla. Se si fermasse lo squalo si inabisserebbe nell’acqua e morirebbe in poco tempo.

 

L’uomo era disteso nel suo letto; la luce era spenta, le persiane chiuse, le coperte erano ammucchiate sul fondo del letto; seminudo,  l’uomo si dimenava a scatti e si rigirava nel  grande  letto matrimoniale che condivideva solo con i cuscini. Il petto muscoloso  faceva mostra di una grossa cicatrice dalla forma  molto singolare.

I suoi occhi erano chiusi, i capelli corti castano-scuro arruffati, il volto si contraeva e si distendeva. Dalla bocca aperta  uscivano suoni confusi.

 

Un  gabbiano  volava nel cielo soffuso dell’alba. 

Le sue zampe sfioravano a tratti il pelo fermo dell’acqua  increspandolo appena.

Un rumore improvviso si levò dal fondo dell’oceano. L’enorme mandibola si chiuse sul corpo del gabbiano, che fu trascinato in  un attimo sott’acqua.

Pochi secondi dopo la bocca dello squalo riemerse e lasciò andare l’uccello.

 

Un colpo violento fece cadere la sveglia dal comodino. Poi l’uomo si alzò, si stirò, fece venti flessioni e lasciò la camera.

Aprì  il frigo ed estrasse una bottiglia di latte e una busta  di plastica  contenente  due salsicce; versò il latte in  un  grosso bicchiere, aprì la busta e mise le due salsicce in una padella.

 

Una  corrente d’acqua portò alle  sensibilissime  narici dello squalo qualcosa che gli fece virare improvvisamente la rotta dirigendolo  velocemente verso un grosso scoglio.

Dopo  aver  girato oltre la roccia lo squalo avvistò  la  propria preda.

Il piccolo delfino cercò di sfuggire al grosso pesce, ma lo squalo gli azzannò la coda staccandogliela di netto. Il delfino  continuò a dimenarsi nell’acqua rossa di sangue finché lo squalo non lo afferrò e lo ingoiò in poco tempo.

 

Il cerchio d’onda si allargava nell’acqua seguito da tanti piccoli fratelli. La canna si incurvò sotto il peso e la forza del pesce  che cercava di allontanarsi e di liberarsi dall’amo.  Il pescatore bestemmiò e girò velocemente il mulinello tendendo  con forza la canna.

Era  un uomo alto e corpulento. Aveva due grossi baffi neri  che  gli scendevano  fin quasi sotto il mento. Indossava un paio di blue jeans, un maglione bianco e un giaccone grigio.  Un ampia bandana era legata sopra la testa e due  grossi occhiali da sole verdi a goccia gli coprivano gli occhi. Dalla bocca pendeva una sigaretta accesa.

Cazzo, deve essere grosso!” disse una voce alle sue spalle.

“Ci  puoi giurare - rispose il pescatore - e ci puoi  giurare  che non mi scappa, il bastardo”.

 

I due squali erano l’uno di fronte all’altro.

Il grande squalo bianco spalancò la bocca e la richiuse.  L’altro squalo  spinse i pettorali verso il basso e mostrò  una  macchia nera che aveva sul fianco.

Il grande squalo bianco prese a girare intorno alla femmina  agitando la coda. Poi si avvicinò. Dal corpo dello squalo si sollevò uno pterigopodio che si inserì nella cavità femminile,  poi, mentre lo squalo tratteneva la femmina per la pinna pettorale, lo pterigopodio  si aprì ad ombrello ancorandosi alla vagina  ed  espellendo acqua e spermatozoi.

 

La barca salpò dal porto con a bordo i tre uomini.

Il cielo mattutino era di mille colori, il sole splendeva alto ad oriente  e il canto dei gabbiani era accompagnato  in  sottofondo dal ruggito soffocato del motore.

Quint il pescatore stava preparando una pastura di sangue, gamberi e piccoli pesci; Diego controllava la carta, mentre il giovane Christian guardava entusiasta ed euforico il mare.

“Quanto sarà grande?”.

“Almeno cinque metri” gli rispose Quint.

“Uno  squalo bianco! - disse Christian - Non ne ho mai visto  uno così grande. Deve essere uno spettacolo meraviglioso”.

Christian si voltò e vide il torace nudo di Diego;  osservò quei strani segni sul petto.

“Su  - replicò Quint - smettila di sognare e datti da fare.  Lega questa fune all’arpione. Willy ci sta aspettando”.

 

Lo squalo seguiva la sua preda.

La tartaruga marina si muoveva lentamente nell’acqua. Ignara  del suo destino.

Lo  squalo l’aveva quasi raggiunta quando sopraggiunse un  gruppo di foche che la fecero fuggire.

Lo  squalo, viste le foche e la preda sfuggita abbassò  le  pinne pettorali,  inarcò il corpo e digrignò i denti. Poi  attaccò  il gruppo  di  foche, che si dispersero in breve tempo. Ne  ferì  un paio e  si allontanò.

 

I tre uomini stavano cenando.

“Dunque: il  totano chiede alla medusa: - quanti tentacoli ha il polipo?

 - E cosa vuoi che ne seppia!”

“Ah, ah, ah” ridevano gli uomini alla battuta  di Christian.

“Diego - disse il ragazzo fattosi serio - cos’è quella strana cicatrice che  hai sul petto?”.

“Il ricordo di uno squalo”.

“Uno squalo ti ha fatto quello? - esclamò Christian spaventato - Mio dio!”.

“Non ti sei mai trovato faccia a faccia con uno squalo, eh?” fece Quint ridendo.

Vedi -  continuò - tu ti trovi sott’acqua, con la tua bella tutina,  le bombole, la maschera e la cinepresa a riprendere la  bellezza  delle profondità marine. Ci sono coralli scarlatti,  delle bellissime mante che ti sfilano davanti; i tentacoli di un  polpo danzano  nell’acqua e un miliardo di pesci colorati brillano  dovunque.  Ad  un tratto vedi giù in fondo, nel blu  confuso  delle profondità  abissali una macchia indistinta che si  avvicina.  La osservi con curiosità, la riprendi con la cinepresa, e ti accorgi che è uno squalo. Un grosso squalo bianco che avanza verso di te. Non hai tempo per tornare in superficie, non hai tempo per scappare. Un attimo dopo ce l’hai a un metro. Sei rapito dalla  sua bellezza. Osservi incantato la sua eleganza, poi realizzi e vieni preso dal terrore. Lo squalo è lì, ad un palmo da te e ti sta venendo addosso. Guardi la sua faccia e non ci trovi niente di  vivo,  è un corpo inanimato quello che ti sta per divorare. I  suoi occhi sono grandi come palle da tennis e sono completamente neri, sono  occhi  morti e ti guardano con indifferenza mentre  la  sua bocca si spalanca. Sei investito dal terrore, cerchi di  allontanarti,  ma lo squalo ti ha preso, tenti disperatamente di  liberarti mentre una nuvola di sangue si alza nell’acqua. Il suo corpo è enorme, la sua pelle è strana, ha qualcosa di finto; sembra quasi polistirolo, gomma. É completamente diversa da  quella di qualsiasi animale e di qualsiasi pesce. Una sensazione di  nausea pervade tutto il tuo corpo. Cerchi di colpire il suo muso con  un piede, ma non puoi,  ti accorgi che non hai più la gamba. Il tuo sguardo cade dentro quella gola enorme che ti aspetta. Non è rossa come ti aspetteresti. É bianca. Fintamente bianca. Assurdamente bianca. Il suo dente è più grande di un pugnale, e lo senti penetrare nella tua carne. La sua bocca è un pozzo  mortale di cui non riesci a vedere la fine. Mentre le sue fauci si stringono sul tuo torace tu hai l’impressione che non ci sia niente di vivo in quel mostro che hai davanti. Hai l’impressione di lottare con  un robot, con una macchina, o con il tuo terribile  destino. Tutto questo finché non senti tutti i tuoi organi ridursi in poltiglia  e non vieni investito totalmente dal tuo  stesso  sangue. Poi la bocca si chiude dietro di te”.

Quint, finiscila, lo stai spaventando”.

 

Quint e Diego erano andati a dormire.

Christian uscì sul ponte e osservò il mare tranquillo della  notte.

“É laggiù. Da qualche parte”.

 

Lo squalo riconobbe l’odore, poi vide il pescecane.

Il piccolo squalo si dirigeva verso lo stesso tonno che lui aveva puntato.

Lo squalo inarcò il corpo ad S  portando avanti le pinne  pettorali e mostrò i denti aguzzi.

Il piccolo pescecane cambiò rotta e fuggì via.

 

La barca avanzava lentamente nel mare calmo. Quint aveva preparato  le lenze e stava gettando la pastura mentre  Diego  sistemava gli arpioni.

Christian scrutava la distesa azzurra.

“Certo che ha un odore rivoltante questa pastura!”.

“Ci farai l’abitudine” gli rispose Diego mentre attaccava la fune ad una galloccia.

“Guardate là” esclamò Christian.

Un piccolo triangolo grigio fendeva la superficie dell’acqua.

Quint sorrise e gettò un pesce in acqua.

Il muso tondeggiante di un delfino spuntò dall’acqua e addentò il pesciolino. Diego gli gettò un altro pesce e il delfino lo  prese al volo. Poi spiccò un salto e si rituffò nell’acqua, riemerse  e prese un altro pesciolino, spruzzò dell’acqua e prese a fare  dei versi come se stesse salutando i tre pescatori.

Come è carino!” esclamò Christian.

“Potremmo catturarlo - fece Quint - ai bambini piacciono un sacco i delfini”.

Perché, poverino? Lasciamolo libero, guardate come sorride!”.

“Sì - gli rispose Diego - e rende bene, anche! Avanti, spegni  il motore, getta l’ancora e prendi la rete”.

 

Lo squalo avvertì delle vibrazioni sopra di lui. Cominciò a salire verso la superficie, dirigendosi verso l’origine di quei movimenti.

 

Diego e Quint si stavano scolando due lattine di birra  parlando di una loro conoscenza comune, una puttana chiamata Vera e  Christian  stava accarezzando il delfino appena catturato,  costretto in una piccola vasca. Quando aveva capito l’intenzione degli  uomini  aveva cercato di fuggire complicando così la cattura e  costringendo  i pescatori a fargli male per riuscire  a  prenderlo. Così era stato ferito e adesso era piuttosto malandato.

“Non credo che sopravviverà - disse Quint - credo ci convenga  usarlo come esca per lo squalo”.

Christian si  girò infuriato: “Non avete un briciolo di umanità! Siete degli animali!”.

“Diego - disse Quint - dì a quel moccioso di smetterla di fare il sentimentale e di gettare la pastura”.

Chris - fece Diego avvicinatosi al ragazzo - se vuoi imparare  a fare  questo lavoro devi diventare un uomo. Ti capisco, sai,  anch’io ero come te una volta. Ma non possiamo lasciarci  condizionare dall’affetto per queste bestie. Sono solo bestie! - rise -  E noi  viviamo  di loro. Se dovessimo voler bene a tutti i pesci  che  peschiamo moriremmo di fame! É il nostro lavoro, Chris. Non devono farci pena, devono darci da mangiare”.

Ma...”   stava   replicando  Christian  quando   Quint   esclamò “eccolo!”.

Diego  e  Christian raggiunsero velocemente Quint  sul  parapetto della poppa e guardarono nella direzione indicata dal pescatore.

Una  grossa pinna dorsale emergeva sulla superficie  dell’acqua  e scompariva velocemente. La vedevano qualche secondo dopo poco più avanti. “Gettagli la pastura!” gridò Quint.

Christian, eccitatissimo prese il secchio con la pastura; fu tentato di tapparsi il naso, ma lo avrebbero preso in giro per  il resto della sua vita; lanciò mucchietti di pesci morti nella zona dove avevano avvistato la pinna.

Lo  squalo  continuava a seguire la scia di cibo che  gli  uomini sulla nave stavano alimentando, avvicinandosi alla barca.

Quint  andò ad infilare la punta di un arpione su di  un’asta  di legno  e sistemò un barilotto alla sinistra del secchio di  Christian, e depose lì a fianco il rotolo di fune. “Fatti sotto,  bestiaccia - gridò - avanti!”.

Lo squalo era a non più di tre metri. La coda, che ondeggiava  da una parte e dall’altra si immerse, la pinna dorsale scivolò sotto  il pelo dell’acqua, e i tre uomini videro emergere dalla  superficie l’enorme testa conica dello squalo. Gli  occhi erano neri e cupi e la bocca era aperta in un feroce ghigno.

Christian restò impietrito, immobile, terrorizzato.

Diego era incantato: “É bellissimo!” esclamò.

Quint gli lanciò contro un arpione, ma lo mancò. Lo squalo si immerse e scomparve sott’acqua.

“Non colpirlo sulla testa - fece Diego - rischi di rovinarlo”.

Un  enorme colpo scosse tutta la barca. “Ci sta  attaccando!”  esclamò Diego.

“Bastardo figlio di puttana!” fece Quint impugnando un altro  arpione.

Altri  due scossoni fecero dondolare la barca, poi la  situazione tornò tranquilla.

“Ricomincia a gettare la pastura!” gridò Quint. Christian obbedì.

“Tu tienilo d’occhio - fece a Diego - io prendo l’esca”.

Aprì un grosso barile. Dentro c’era un piccolo di mokò, morto.

Quint ci conficcò un gancio, lo legò ad una fune a cui era attaccato un barilotto e aspettò di vedere lo squalo.

Lo  squalo seguì l’odore della pastura e si  avvicinò  nuovamente alla barca degli uomini.

Finalmente  la pinna dorsale ricomparve sull’acqua e Quint  gettò l’esca.

Lo squalo vide il piccolo mokò, lasciò stare la pastura e lo  ingoiò subito, ma il grosso gancio che conteneva gli rimase conficcato  nel palato; subito dopo fu colpito da un arpione, e si  allontanò immediatamente.

 

“Non andrà lontano” disse Quint.

Ad  entrambe le funi erano legati dei barilotti che  restarono  a galleggiare un po’, e poi seguirono il pescecane sott’acqua.

 

Lo squalo continuò ad allontanarsi velocemente da quella  piattaforma  triangolare da cui provenivano gli spruzzi, ma sentiva  la fatica farsi sempre più forte dirigendosi verso il fondo,  doveva trascinarsi dietro un grosso peso, qualcosa che continuava a  tirarlo verso l’alto; i due barilotti pieni d’aria lo costrinsero a riemergere,  e non appena la sua pinna fu fuori dell’acqua  dalla barca partì un altro arpione che lo colpì sul dorso; lo squalo si allontanò  velocemente dalla barca restando vicino  alla  superficie per non dover lottare con la resistenza dei barili che ora  erano tre.

 

“Si sta allontanando” fece Christian.

“Sì - rispose Quint - scappa, il vigliacco”.

Cosa succederà quando finirà la corda?”.

Se il bestione non è troppo forte, si fermerà” disse Diego.

“Altrimenti?”.

“Ho visto una volta uno squalo staccare una galloccia e portarsela dietro”.

“Non glielo permetteremo” fece Quint manovrando una catena d’acciaio.

Lo squalo si allontanava e i tre uomini vedevano la fune metallica srotolarsi sempre più velocemente. Finché non arrivò alla fine e cominciò a tirare.

La catena e le gallocce reggevano. Poi la barca si spostò leggermente.

Cazzo, questo ci trascina con lui!” gridò Diego correndo al  timone e accendendo il motore.

“Ci costringe a inseguirlo” fece Quint.

 

Avevano  perso di vista i barili da qualche minuto, sembrava  che lo squalo si fosse immerso nuovamente, quando sentirono un  forte scossone sotto di loro, e subito dopo un altro, e un altro  ancora. La barca cominciò a vacillare.

“Bastardo figlio di puttana! - gridava Quint - vuoi sfasciarmi la barca brutto stronzo! Ma ti sistemo io!”.

Lo squalo continuava a colpire il fondo della barca, la stiva non avrebbe retto per molto.

Quint  prese un fucile da pesca e si affacciò al parapetto della poppa.

“Avanti, vieni fuori bastardo! Ti sto aspettando”.

Ma  dello squalo non si vedeva neanche l’ombra, e anche i  barili erano spariti.

 

Uno spruzzo improvviso inondò la poppa e il corpo del grosso  pescecane in tutta la sua maestà  si  sollevò nell’aria. Quint si vide i denti dello squalo ad un centimetro  dal suo naso, il fucile gli cadde di mano e si accasciò  sul ponte.

Per un secondo i due pescatori videro tutto il corpo dello squalo liberarsi  nell’aria, poi si rituffò nell’acqua con un tonfo che portò gli schizzi fino al timone.

Christian  era rimasto a guardare il mare in preda al  terrore  e alla meraviglia, mentre Diego corse da Quint.

I-il cuore. - disse il vecchio cacciatore con voce soffocata - N-non mm-mi era mai c-c-apitato!”.

Diego  portò Quint in cabina e lo mise sul letto. Poi  tornò  sul ponte.  Lo squalo continuava a girare attorno alla  barca  sempre più vacillante e a colpirla.

“Altri due colpi come questo e cominceremo ad incamerare  acqua” disse Diego.

E...  e poi affonderemo? - disse ansimante Christian - e lui  ci divorerà?”.

“No - disse Diego afferrando un arpione - noi lo fotteremo!”.

 

Un altro arpione colpì lo squalo. Continuava a girare attorno alla barca e a colpirla, cercava disperatamente di uscire fuori dal muro d’acqua che sembrava circondarlo e tenerlo prigioniero. Voleva fuggire verso il fondo, voleva perdersi negli abissi, ma non poteva, i quattro barili  che si trascinava dietro gli impedivano ormai di immergersi anche per pochi metri, doveva restare in superficie e prendersi altri arpioni sulla groppa mentre cercava di abbattere quel mostro metallico che lo stava uccidendo. Stava perdendo ormai molto sangue e aveva quattro  uncini conficcati nel corpo, i barili erano  sempre  più pensanti e le forze lo stavano ormai abbandonando.

Un altro arpione lo colpì e lo squalo, praticamente  impossibilitato  ormai  a muoversi anche per pochi metri  e che aveva ormai perdute tutte le  energie  fece  ancora qualche tentativo, e poi si abbandonò al suo destino. E si fermò.

 

Gli  spruzzi e le onde cessarono. L’acqua tornò tranquilla  e  i due  uomini videro i  cinque barili galleggiare tranquilli  sulla superficie dell’acqua. Sotto di loro era appeso lo squalo. Immobile. Morto.

Lo tirarono su e lo stesero sul ponte.

“Certo che era un gran bel bestione” disse Diego.

Christian guardò i suoi occhi neri, morti, e la sua bocca  semiaperta, quasi in un’ultima richiesta d’aiuto.

“Ci hai dato un bel po’ da fare, eh Willy?”.

 

I tre pescatori portarono il loro trofeo a terra, lo vendettero e furono pagati molto bene.

Lo squalo Willy fu pulito, squarciato, svuotato delle interiora e imbalsamato.

Poi fu messo in mostra dietro un  vetro e cominciò a girare il mondo dentro ad un vagone di ferro.

 

Un giorno lo squalo Willy arrivò a Terni.

Io avevo circa cinque anni, e mio padre mi portò a vederlo.

In piazza Europa era parcheggiato un grosso camion, un tir con un vagone lungo lungo con una grande scritta LO SQUALO WILLY.

Entrammo da una porticina e ci trovammo di fronte  all’enorme  coda dello squalo. Percorrevamo lo stretto  corridoio  che scorreva  di fronte alla vetrina in cui era esposto il  pescecane. Tutto il corpo del grande squalo scorreva di fronte ai miei occhi meravigliati.

Mi fece un po’ paura, anzi, senza ‘po’’, però mi ispirò anche tanta simpatia, lo squalo Willy, anche se, comunque,  quando arrivò la balena, quella a vederla non  ci  volli andare. Ci mandai mio fratello e mio padre e io me ne restai a casa di nonna a giocare  con le costruzioni.

Certo l’impressione fu tanta e non me lo dimenticai  mai, Willy, anche perché quella fu la prima volta che vidi uno squalo.