Adesso Online

 

  Redenzione o autocelebrazione?

La Chiesa e le adunate oceaniche

Il Giubileo dei bambini del 2000

 

di  Arnaldo Casali


Il papa ha voluto iniziare la serie di incontri oceanici con i fedeli che caratterizzeranno tutto l’Anno Santo con il Giubileo dei bambini. Vogliamo vederlo come un’apertura verso il futuro, verso la speranza che la Chiesa ripone nei più giovani; in questo un segnale indubbiamente positivo.
Quella dell'incontro con il papa è stata poi sicuramente un'esperienza positiva per i ragazzi e per i bambini: è stato un momento di aggregazione, è stata l'occasione per vedere il papa da vicino, è stata una bella gita a Roma; è stato anche, ci auguriamo, un modo per sentirsi Chiesa, per sentirsi parte di un gruppo di persone che crede in qualcosa. Forse, però, è stato proprio quel “qualcosa” a mancare. Perché oltre allo stare tutti insieme, ad applaudire il papa e a cantare le canzoni scritte per l’occasione, non c'è stato alcun momento per l’approfondimento spirituale, anzi, siamo arrivati addirittura al paradosso che per festeggiare il Giubileo ci siamo persi la messa. «Non preoccupatevi - ha rassicurato don Antonio Maniero a fine giornata - se non siamo stati a messa. Quello che conta è l'intenzione». Certo, sarebbe ben misera una religiosità che si riduce alla formalità di “prendere” o “non prendere” la messa, eppure forse quello che accaduto non è completamente privo di significato, perché ha dimostrato - comunque, al di là dei difetti di organizzazione - che in occasioni simili è più importante sventolare i cappellini davanti alle telecamere che pregare insieme. Ed è qualcosa che ci fa riflettere sul significato che tali occasioni possano avere non tanto per i bambini ma per la Chiesa stessa. Perché se per i bambini può essere un'esperienza positiva comunque, è innegabile che per la Chiesa cattolica questi eventi hanno soprattutto la funzione di celebrare sé stessa, di attirare l'attenzione del mondo sul Pontefice, di favorire il culto della personalità. Che il Giubileo rischi di ridursi ad un fare “alé-ooh!” davanti al Papa, che l'evento del 2 gennaio si sia ridotto ad un grande show televisivo con tanto di tempi morti prima e dopo la diretta e prove per lo sventolamento dei cappellini, è una verità scomoda, ma che non si può fingere di ignorare. Non si può ignorare perché la superficialità con cui si dà più importanza a tesserini, borsette e gadget vari piuttosto che ai momenti di formazione è sintomatica di una catechesi che continua ad interessarsi quasi esclusivamente a tutto ciò che è apparenza, cerimonia, formalità a scapito del vangelo e dell'autenticità della fede. Ed è un atteggiamento, questo, di cui paghiamo le conseguenze ogni anno, con la puntuale fuga dalle parrocchie dei ragazzi appena cresimati.
Allo stesso modo è assurdo che durante il Giubileo dei bambini vengano proposti al pubblico ed esaltati per le loro opere di “beneficenza” i calciatori della Roma. Al di là delle loro esperienze personali, i giocatori di calcio rappresentano quanto di più superficiale circonda i ragazzi; il mondo in cui vivono, i loro stipendi miliardari sono la testimonianza di quanto più sfacciatamente il mondo del calcio sia un’insulto alla cultura, all'uguaglianza e alla giustizia sociale, e quindi anche all'impegno religioso. Vederli col papa circondati dall'aureola può essere “carino” e al limite rassicurante, ma certo non aiuta la crescita di chi già li venera come eroi. Accostarli al Papa significa dire ai ragazzi: “continuate pure ad interessarvi solo del pallone e a venerare questa gente come idoli, basta che poi, dopo la partita, venite ache a messa”.
Se veramente vogliamo che questo Giubileo serva a qualcosa dobbiamo cominciare a discernere tra bene e male, tra serio e frivolo, tra educativo e diseducativo, perché, Gesù, il buonismo, non l’ha mai predicato.

 

da ADESSO N.13 - GENNAIO 2000