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SQUALO? SQUELLO!

 

di Arnaldo Casali

Avrò avuto  quattro-cinque anni la prima volta che ho visto uno squalo. Stava dentro un camion, in esposizione, e si chiamava "Willy". 

"La prima volta non si scorda mai" si dice. E vale anche per gli squali. Almeno per me fu così. "Lo squalo Willy" restò sempre - nella mia memoria - una sorta di "prototipo" di Pescecane. Non so nemmeno quanto fosse grande, perché quando si è piccoli tutto sembra enorme, certo è che se stava dentro un tir, non doveva essere come gli squaletti che vedi al circo. Certo non era nemmeno uno di quelli da film catastrofico. Sarà stato uno squalo normale, immagino.

L'idea di trarre da quell'esperienza un racconto credo mi sia venuta intorno ai diciotto anni, ma sicuramente la spinta decisiva è stata la lettura de "Lo squalo" di Peter Benchley, da cui fu tratto il celebre film di Steven Spielberg (che invece ho visto - almeno tutto intero - solo un anno fa!).

Se mai dovessi essere accusato di plagio per "Lo squalo Willy" non tenterò mai nemmeno di difendermi, perché riconosco di aver saccheggiato a piene mani da quel romanzo, quasi tutto - direi  - per quello che riguarda le tecniche di caccia al pescecane, mentre il monologo in cui Quint (anche il nome è un'altro "furto" - ma ormai si dice 'omaggio' no? del libro) terrorizza il giovane Chrstian, è ripreso da una scena del film che allora ricordavo molto vagamente e che recentemente ho saputo è stata scritta - o quantomeno riadattata - dallo stesso Robert Shaw, l'attore che interpreta il pescatore Quint, che nel mio racconto - se nel nome e nel carattere riprende molto del carattere di Shaw, a livello fisico, invece descrive nei minimi dettagli la fotografia di un pescatore che avevo visto in una rivista.

Insomma, inutile negare che una buona parte di Willy è ripresa da "Lo Squalo". Indubbiamente, allora, sarebbe legittimo domandarmi perché mi sono divertito ad umiliarmi con un racconto un enorme squalo scopiazzando un capolavoro della letteratura "marina".  La verità è che - caccia allo squalo a parte - il contenuto del mio racconto non a quasi nulla a che vedere con quello di Benchley-Spielberg. 

Io non volevo raccontare né la lotta dell'uomo contro la natura, né l'ottusità degli uomini che in nome dell'economia sono disposti a sacrificare anche vite umane (il Sindaco di Amity, nel libro e nel film, rifiuta di chiudere la baneazine in piena stagione turistica); non volevo nemmeno - anche se il nome potrebbe suggerirlo - scrivere una specie di Free Willy, uno "Squalo" al rovescio, dove la vittima è il pesce e il carnefice è l'uomo (a proposito, sembra proprio che Willy sia il nome preferito delle creature marine!).

La mia intenzione era invece quella di scrivere un racconto "ecologista" nel senso più pieno del termine. Raccontare, cioè, l'uccisione di questo Squalo dal punto di vista - potrei dire molto modestamente - di Dio. Osservare con sguardo distaccato e alieno da giudizi morali il comportamento "naturale" di uno Squalo e quello dell'uomo.  Non ci sono né vittime né carnefici, ovvero, tutti i personaggi lo sono.

Sì, insomma, un racconto molto alla "Quark", in cui vediamo prima lo Squalo mietere vittime, poi lo stesso essere vittima di un'altro animale. Tutto questo senza imporre dei giudizi morali su entrambi i cacciatori, anche se è evidente che l'unico personaggio con cui io mi identifico è il giovane e "animalista" Christian. Forse - rileggendo oggi il racconto - l'unica nota stonata di questa storia, probabilmente perché è l'unico che esprime sentimenti e giudizi morali.

A differenza di Benchley, che ha passato la giovinezza a caccia di squali, io non capisco nulla dell'argomento su cui ho scritto questo racconto, quindi ho cercato di limitare il più possibile le mie ambizioni artisitche e "culturali" e mi sono affidato a fonti semplici e dirette per imbastire questo che, come dicevo, considero un vero e proprio "documentario" letterario.

A parte il mio ricordo personale per il soggetto e l'epilogo, e il romanzo di Benchley per le scene di caccia, la mia "fonte" sono stati i vari documentari televisivi e - soprattutto - un numero di "Mondo Sommerso" dedicato agli squali, dal quale ho attinto a piene mani per le scene in cui viene raccontata la "vita quotidiana" dello squalo.

Riguardo ai personaggi, Willy esisteva dunque veramente, Quint è praticamente lo stesso personaggio del romanzo, mentre Christian è abbastanza autobiografico.

Diego invece è un personaggio totalmente stereotipato. E' il classico uomo duro, alto forte e bello, un po' alla Kevin Costner. Un po' l'anti-Arnaldo; il nome rende invece "omaggio" al fidanzato della donna della quale - ai quei tempi - ero perdutamente innamorato.

L'ho conosciuto di persona solo un paio di settimane fa, ma nei giorni in cui scrivevo "Willy" lei mi rivelò di essersi fidanzata e io - sconvolto - non seppi trovare migliore sfogo di quello che appioppare quel nome al personaggio più banale che abbia mai ideato.

Terni - settembre 2002